Naufragio baleniera Essex: cannibalismo e tragedia in 2 film

Naufragio baleniera Essex: cannibalismo e tragedia in 2 film
Naufragio baleniera Essex: cannibalismo e tragedia in 2 film (foto Wikipedia)

WASHINGTON – Essex: una raccapricciante storia di naufragio e cannibalismo in mare sta per essere ripercorsa in due film di prossima uscita, una produzione americana basata sul best-seller di Nathaniel Philbrick, Nel cuore del mare, con l’attore Ben Whishaw ed un film britannico, prodotto dalla BBC. La storia vera del naufragio di Essex, nave baleniera americana, affondata nel novembre 1820, aveva già ispirato, trent’anni dopo gli avvenimenti, il capolavoro di Herman Melville, Moby Dick. Ma nel suo romanzo Melville si era interrotto al naufragio della baleniera, senza ispirarsi ai tre mesi che seguirono: un’inesorabile discesa agli inferi in cui i marinari, per sopravvivere, decisero di ricorrere all’ultima risorsa dell’uomo sfinito dalla fame, il cannibalismo.

La nave Essex partì dall’isola di Nantucket, nel Massachusetts, il 12 agosto 1819, volta alla caccia delle balene, e specialmente del capodoglio, il cui olio aveva allora un valore inestimabile. L’imbarcazione ospitava al suo interno un equipaggio composto da 23 membri. Il capitano George Pollard aveva 28 anni ed era alla sua prima esperienza come comandante mentre il secondo, Owen Chase, aveva 22 anni. Tra i marinari si trovavano ragazzi di età compresa tra i 14 e 17 anni. Il viaggio sarebbe stato lungo, fino a due anni passati in alto mare, ma la prospettiva della ricompensa riempiva tutti di ottimismo. I profitti ricavati dalla vendita del lucroso olio di capodoglio sarebbero stati ripartiti tra i membri dell’equipaggio.

Il 20 novembre, dopo tre mesi di navigazione e di caccia, lungo le coste del Cile, del Perù e al largo nel Pacifico, la Essex incontrò, al largo delle isole Galapagos, un intero branco di balene. Le barche da caccia furono subito calate sul mare e l’equipaggio cominciò la carneficina con arponi e lance. Mentre il gigantesco cadavere di un cetaceo veniva issato sull’imbarcazione principale, il comandante Pollard vide un capodoglio. Lungo quasi 30 metri, il suo colossale muso era ricoperto di cicatrici tale e quale ad un lottatore. Immobile, sembrava osservare la barca. Improvvisamente, il cetaceo, emettendo un orrendo stridore di denti, puntò la barca a tutta velocità e la speronò. L’urto fu immenso. Impossibile prevederlo: nessuno dell’equipaggio aveva mai visto, o sentito parlare, di un capodoglio che attaccasse deliberatamente un’imbarcazione.

Non ci fu nulla da fare. L’equipaggio abbandonò la nave che affondava rifugiandosi nelle piccole imbarcazioni da caccia. I marinari si trovavano ora separati in tre piccole barchette, alla mercé dei marosi. Le provviste di cibo e acqua erano limitate. La più vicina massa di terra si trovava a più di 3000 chilometri. Era l’inizio dell’incubo.

Nel gennaio 1820, due mesi dopo il naufragio, le provviste erano pressoché finite. I primi marinari, colpiti dalle malattie e abbattuti dalla fatica, dalla sete lancinante e dal sole a picco, cominciarono a morire. Alcuni di questi finirono la loro vita in preda alle convulsioni della pazzia, come posseduti da uno spirito diabolico. Gli furono accordate le sepolture in mare.

Tempo dopo, nella barca del capitano Pollard, alla morte per malattia di uno dei marinai, Pollard e i tre giovani che restavano con lui abbandonarono l’idea di una sepoltura in mare. Spinti dai morsi della fame, avevano deciso di mangiarne il corpo. Le membra furono staccate e le ossa separate dalla carne. Perfino il cuore fu mangiato con avidità.

Quando l’orrido pasto fu finito, la fame era sempre lì, come un avvoltoio sopra le carcasse sfinite di moribondi nel deserto. Dopo nuovi giorni di fame, i membri del piccolo equipaggio decisero di estrarre a sorte uno di loro perché desse la propria vita – e la propria carne – per la salvezza degli altri. La tragica lotteria ebbe luogo e uno dei tre adolescenti fu scelto. Si dovette anche estrarre a sorte chi sarebbe stato il macellaio. Poi, la giovane vittima si stese sull’impiantito della barca, come un agnello sacrificale, e si lasciò abbattere. Un altro pasto umano salvava i tre infelici superstiti.

Giorni dopo, una nave baleniera, The Dauphin, avvistava la piccola imbarcazione. Erano passati tre mesi dal naufragio. Sembrava abbandonata, ma aguzzando la vista i marinai videro qualcosa. Emaciati, coperti di ulcere, due infernali scheletri si muovevano. Erano due uomini, a mala pena in vita, il capitano Pollard ed il giovane Owen Chasse. Nella piccola imbarcazione si trovavano ora non uno ma due resti di scheletri disarticolati e scomposti. Le loro ossa erano state rosicchiate fino al midollo

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