Obama grazia Chelsea Manning, ma Assange ci ripensa: “Non mi consegno”

Obama grazia Chelsea Manning, ma Assange ci ripensa: "Non mi consegno"
Obama grazia Chelsea Manning, ma Assange ci ripensa: “Non mi consegno”

WASHINGTON – Juliane Assange non si consegnerà agli Stati Uniti anche se il presidente Barack Obama ha concesso la grazia a Chelsea Manning, la talpa di Wikileaks. Assange aveva promesso che sarebbe rientrato negli Stati Uniti se il presidente avesse graziato Manning, l’analista dell’intelligence condannato a 35 anni di carcere per aver passato a Wikileaks documenti segreti. Dopo che Manning è stato graziato, però, ha fatto dietrofront: “La decisione di Obama non è sufficiente, è meno di quanto ho richiesto.

A spiegare il motivo del dietrofront di Assange è il suo legale, che ha dichiarato il 18 gennaio:

“E’ meno di quanto Assange ha chiesto. Non si chiedeva una riduzione della pena, ma la grazia e la scarcerazione immediata di Manning”.

Intanto monta l’ira dei repubblicani e di Donald Trump, col vicepresidente eletto Mike Pence che parla di Manning come di un “traditore” e accusa Obama di aver compiuto un gravissimo errore. Con l’aggravante ora di non aver ottenuto nemmeno il ritorno in patria di Assange.

Il fondatore di Wikileaks, il sito che ha pubblicato in dieci anni di attività migliaia di documenti segreti imbarazzanti o pericolosi per gli Usa, compresi i recenti hackeraggi russi, aveva promesso la scorsa settimana che se il presidente Usa avesse concesso la grazia a Manning lui avrebbe accettato l’estradizione in Usa “nonostante la chiara incostituzionalità” del caso pendente al ministero della giustizia.

Dopo la mossa di Obama, Assange su twitter ha cantato “vittoria”, ringraziato i sostenitori della causa ed elogiato Manning come “un eroe, il cui coraggio dovrebbe essere applaudito”. Ha poi chiesto agli Usa di “fermare la loro guerra contro gli informatori e gli editori, come Wikileaks ed io stesso”, perché insieme ai giornalisti essi “distribuiscono informazioni autentiche su questioni chiave come gli abusi dei diritti umani e gli atti illegali di dirigenti governativi”.

Se uno dei suoi legali, Melinda Taylor, ha detto che Assange non rimangerà il suo impegno, l’altro suo difensore, Barry Pollack, non ha commentato e si è’ limitato a ricordare di aver chiesto per molti mesi al dipartimento di giustizia di chiarire lo status del suo assistito. “Spero accada presto”, ha auspicato.

In effetti il dipartimento di giustizia Usa non ha mai annunciato alcuna accusa contro Assange e non è chiaro se lo abbia fatto in modo segreto. Un giallo. In ogni caso qualsiasi decisione su una eventuale incriminazione ed estradizione ricadrà sulla prossima amministrazione. Con un Trump che potrebbe essere incline alla clemenza, ma anche più imbarazzato dopo il suo plauso al lavoro di Wikileaks e le conclusioni dell’intelligence Usa che gli hacker russi si sono serviti del sito di Assange per favorirlo nella corsa presidenziale, danneggiando la sua rivale Hillary Clinton e il partito democratico.

Assange si è rifugiato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra oltre quattro anni fa per evitare l’estradizione in Svezia, dove è indagato per violenza sessuale, e ha rifiutato l’interrogatorio in Svezia temendo l’estradizione negli Usa. Estradizione che sarebbe sicura nel caso di Edward Snowden, l’ex talpa della Nsa protagonista nel 2013 del ‘Datagate’ rifugiatasi a Mosca. Ma il Cremlino lo ha blindato: il suo permesso di soggiorno è stato esteso per altri tre anni, fino al 2020, e presto avrà i requisiti richiesti per poter chiedere la cittadinanza russa, come ha annunciato il suo avvocato, Anatoli Kucerena.

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