NEW YORK – L’Onu vota sul riconoscimento della Palestina come membro. ”Siamo alla vigilia di un evento storico, sia per le Nazioni Unite che per il nostro popolo”: l’ambasciatore Ryad Mansour, osservatore permanente dell’Autorità Palestinese (Anp) al Palazzo di Vetro, ha presentato con queste parole la richiesta ufficiale di elevare lo status della ‘Palestina a Paese non membro’ dell’organizzazione internazionale.
E, nella giornata in cui è stata riesumata la salma di Yasser Arafat per determinare se l’ex leader palestinese sia stato avvelenato, il presidente Abu Mazen è arrivato a New York, dove giovedì mattina chiederà all’Assemblea Generale di votare per il sì.
”La soluzione dei due Stati, da una prospettiva Onu, diventerà una realtà”, ha aggiunto Mansour, sottolineando che la proposta ha il benestare della maggioranza dei Paesi delle Nazioni Unite. Se infatti da un lato è certo il no di Usa e Israele, le nazioni in via di sviluppo sono tendenzialmente a favore dello Stato palestinese.
Rimane divisa invece l’Unione europea, nonostante nelle ultime ore si sia allargato il fronte del sì. Secondo quanto riportato da fonti diplomatiche, al momento sarebbero circa 15 gli Stati europei pronti a dare il via libera. Tra questi la Francia, che, come annunciato dal ministro degli Esteri Laurent Fabius, votera’ in favore della richiesta palestinese. Oltre a Parigi, il pollice alzato arriva soprattutto dagli Stati mediterranei (Spagna, Malta, Cipro, Portogallo).
A Roma si discute ancora su che posizione prendere. Rimane il punto interrogativo della Germania, che tuttavia dovrebbe propendere per il no. Mentre la Gran Bretagna ha parlato di apertura ‘condizionata’. Per votare a favore, Londra ha posto tre condizioni: astensione dalla richiesta di entrare nella Corte Penale di Giustizia e nella Corte Internazionale di Giustizia, una ripresa immediata e senza condizioni dei negoziati e che la risoluzione dell’Assemblea Generale non chieda al Consiglio di Sicurezza di seguirne le mosse. Secondo il quotidiano britannico Guardian, Londra e Washington, ma anche Parigi, starebbero facendo pressioni su Abu Mazen perché firmi una lettera riservata in cui impegna l’Anp a non citare in giudizio Israele davanti alla Corte Penale Internazionale.
Ma adire la Corte penale internazionale ”contro gli insediamenti illegali israeliani” e’ proprio quello a cui possono puntare i palestinesi con il nuovo status, come ha ricordato lo stesso Mansour: l’Autorita’ Palestinese è pronta a negoziare “in buona fede” con Israele ma, ha avvertito, è necessario porre fine agli insediamenti ”illegali” che rappresentano ”un ostacolo alla pace”. Anche, se necessario, citando in giudizio Israele davanti alla Cpi. Rimangono arroccati sulle proprie posizioni, come previsto, Stati Uniti e Israele. La portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Victoria Nuland, ne ha spiegato i motivi: ”Il nostro scopo è di raggiungere una soluzione negoziata. Questo passo ci fara’ tornare indietro, e’ un errore che non portera’ il popolo palestinese piu’ vicino al loro Stato”, ha detto, criticando anche il si’ della Francia. Un voto – ha aggiunto Nuland – che potrebbe rappresentare ”una distrazione e infiammare le relazioni israelo-palestinesi”.
A ringraziare Parigi e’ invece ancora l’ambasciatore Mansour: ”Siamo onorati del loro sostegno – ha affermato -. La Francia esprime leadership e coraggio. Si sono schierati dalla parte giusta della storia”. Quello di chiedere un mutamento di status per il diplomatico palestinese e’ ”un passo legale, democratico e multilaterale”. ”La nostra richiesta e’ equilibrata”, ha aggiunto ancora l’osservatore permanente dell’Anp. ”Siamo pronti per questo momento storico – ha affermato – e anche per il ‘day after’, per creare l’atmosfera che permetta di tornare al tavolo dei negoziati e raggiungere un accordo il quale ponga fine all’occupazione israeliana, iniziata nel 1967”. Abu Mazen può contare anche sul sostegno di Hamas.
”Siamo politicamente divisi – ha fatto sapere Mansour – ma il capo di Hamas, Mashaal, ha chiamato il presidente per esprimere il suo appoggio”. Questo per il diplomatico ha un significato ben chiaro: ”Dimostra che non si tratta della posizione di una parte politica, ma di tutto il popolo palestinese”.
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