Fino al 1928 non c’era la penicillina, si moriva per una polmonite, si rischiava di morire per una brutta bronchite, ogni infezione da batterio poteva risultare letale. Poveri i nostri bisnonni, sopravvivevano in un mondo che, a confronto del nostro, era praticamente privo di medicine, quelle medicine con cui noi combattiamo e sconfiggiamo i batteri. Nel 2028, un secolo dopo, torneremo a morire di polmonite, a rischiare la vita ad ogni infezione? Sì, assolutamente sì se la scienza, le industrie farmaceutiche, i laboratori, i governi e la gente comune non si danno una mossa e subiscono scossa. La scossa di sapere che stanno finendo gli antibiotici o almeno gli antibiotici che funzionano.
La società americana per le malattie infettive ha chiesto con drammatica priorità alle aziende di “trovare” in laboratorio e produrre in fabbrica almeno dieci nuovi antibiotici entro il 2020. Perché gli antibiotici vecchi, quelli oggi in commercio, cominciano a fare sempre più spesso cilecca e perché l’assenza di nuovi ed efficaci antibiotici è letteralmente “una dele tre più gravi minacce per l’umanità”. Già oggi muoiono negli Usa centomila persone l’anno per infezioni batteriche che non si sa come curare, 25mila in Europa. Non si sa come curarle perché i batteri sviluppano “resistenza” agli antibiotici noti. Noti a noi in farmacia e in ospedali e ormai noti ai batteri in natura. Li conoscono e li bypassano.
I batteri mutano e l’industria farmaceutica sta ferma: tra il 2003 e il 2007 ha prodotto solo cinque nuovi antibiotici, tra il il 1983 e il 1987 ne aveva prodotti sedici. Sta ferma perché non “conviene”. L’antibiotico costa poco e dà poco profitto, il malato lo assume per pochi giorni mentre il farmaco che “rende” è quello da terapia prolungata. Sta ferma l’industria e le popolazioni restano sorde e sempre più avvinte a cattive abitudini, si assumono infatti troppi antibiotici: in Italia 28,3 dosi giornaliere per mille abitanti (quasi 40 in Campania) mentre solo dieci anni fa la media era di 24,5. Troppi antibiotici assunti troppo spesso “educano” i batteri alla resistenza, consentono che si sviluppi il ceppo appunto resistente all’antibiotico.
La regola e le logiche del mercato lavorano contro la salute della popolazione mondiale, l’autoregolamentazione del mercato sta desertificando l’arsenale degli antibiotici e mantiene un arsenale obsoleto. I governi non vedono e non sentono, anche se quello americano qualcosa comincia a fare con sussidi alle aziende che inventano nuovi antibiotici. Le opinioni pubbliche sono in preda ad una falsa certezza di invulnerabilità, i medici troppo spesso assecondano il paziente-cliente che vuole la pillola antibiotica anche quando è solo influenza. E il tempo stringe, maledettamente stringe: per realizzare un nuovo antibiotico ci vogliono dieci anni. Se non si comincia subito il 2028 celebrerà il centenario della penicillina con una dolente lapide all’antibiotico perduto.