Per i cristiani sono tempi difficili in varie parti del mondo, dalla Nigeria al Sudan dal Pakistan all’India e ora anche in Palestina e in Iraq.
Questi ultimi due casi di quasi persecuzione sono denunciati rispettivamente dal New Yorker e dall’Avvenire.
Claire Porter Robbins, giornalista canadese di buona esperienza, affronta “il dilemma dei cristiani di Gaza”.
E la difficile scelta fra denunciare i comportamenti dell’esercito israeliano a Gaza e rischiare le rappresaglie del Governo di Gerusalemme.
Qualcuno potrebbe pensare alle accuse mosse a Pio XII per la sua tiepidezza verso i tedeschi, ma è un pensiero non corretto politicamente e quindi è meglio accantonarlo.
L’incidente che ha dato spunto a questa riflessione e stato la morte di due donne presso la chiesa cattolica della Sacra Famiglia.
Ora, scrive Claire Porter Robbins, i cristiani palestinesi stanno valutando il costo di una denuncia contro il governo israeliano.
Aggiunge. Secondo una prima analisi dell’incidente da parte dell’I.D.F. le donne sono state uccise quando “i terroristi di Hamas hanno lanciato una granata con propulsione a razzo (RPG) contro le truppe dell’IDF dalle vicinanze della chiesa.
“Le truppe hanno poi identificato tre persone nelle vicinanze, che operavano come osservatori per Hamas guidando i loro attacchi in direzione delle truppe dell’IDF.
“In risposta, le nostre truppe hanno sparato verso gli osservatori e i colpi sono stati identificati”.
Poi, a gennaio, un portavoce dell’I.D.F. ha affermato che la conclusione iniziale era infondata e che l’esame dell’incidente è in corso. “L’IDF prende molto sul serio le rivendicazioni di attacchi su siti sensibili, in particolare chiese che sono luoghi santi per la fede cristiana”.
Il giorno dopo gli attentati, durante la sua benedizione settimanale, Papa Francesco ha detto a una folla di fedeli: “Alcuni direbbero: ‘È la guerra’. È terrorismo”. Sì, è guerra. È terrorismo”.
La dichiarazione del Papa ha fatto notizia in tutto il mondo e ha fatto arrabbiare alcuni israeliani, ma per altri era troppo poco e troppo tardi, essendo arrivata solo dopo che i cristiani erano morti, tra decine di migliaia di musulmani di Gaza.
“È molto deludente, molto frustrante, e il cristiano palestinese medio è arrabbiato con la leadership della Chiesa”, ha confidato a Claire Porter Robbins Salim Munayer, un teologo cristiano palestinese che ha fondato Musalaha, una ONG. che facilita la riconciliazione tra israeliani e palestinesi.
“I cristiani palestinesi sono ancora trattati sotto la lente eurocentrica del cristianesimo tradizionale che li vede prima come arabi, poi come cristiani. I cristiani occidentali ci trattano come gli “altri” o come persone di seconda classe”.
Munayer ha aggiunto: “Quando parlo con la leadership della chiesa, dicono, ascolta, dobbiamo camminare su una corda molto tesa. Perché se parliamo apertamente non potremo restare qui a servire la Chiesa”.
Secondo Munayer, il clero e il personale temono che, se parlano apertamente, il governo israeliano congelerà i conti bancari o toglierà i visti. (In passato, i visti non venivano concessi e i permessi venivano revocati per motivi di sicurezza.)
Il sermone natalizio del reverendo Munther Isaac, ministro luterano palestinese a Betlemme, diventato virale sui social media, ha affermato: “Ai nostri amici europei, non vorrei mai più sentirvi tenere lezioni sui diritti umani o sul diritto internazionale. Non siamo bianchi, immagino: non si applica a noi secondo la tua logica”
Ha aggiunto Isaac: “Questo è un genocidio”, un sentimento, aggiunge Claire Porter Robbins, condiviso da molti cristiani palestinesi.
“Non possiamo tacere e abbiamo la responsabilità etica, la responsabilità morale di parlare”, ha aggiunto. “Ed è per questo che dico sempre che le chiese devono essere più forti. Abbiamo una piattaforma che dobbiamo utilizzare”.
Da Gaza, Luca Geronico sull’ Avvenire ci porta nella piana di Ninive, luogo gravido di riferimenti storici.
I cristiani di questo territorio sono i discendenti degli antichi assiri. Benestanti, professionisti, sono i residui della classe dominante in Medio Oriente all’arrivo, più o meno 1.500 anni fa, dei conquistatori arabi che non sentirono il bisogno di rifugiarsi nella nuova fede islamica per sperare in una vita migliore.
Sui cristiani aleggia ancora il fumo di un incendio del 27 settembre 2023 a Qaraqosh, in cui morirono 133 persone a una festa di nozze.
Luis Sako patriarca e guida della Chiesa caldea ha detto:
«In Iraq non c’è strategia, sicurezza o stabilità economica, né sovranità ma piuttosto l’adozione di un duplice concetto di democrazia, costituzione, diritto e cittadinanza»,
In una situazione di «totale o parziale marginalizzazione », la «fragile componente cristiana» è stata bersaglio fin dal 2003 – anno della caduta del regime di Saddam Hussein – di rapimenti e assassini a scopo di estorsione e poi dello spostamento forzato da Mosul e dalla Piana di Ninive ad opera del Daesh.
: «Se non fosse stato per la generosa accoglienza del governo regionale del Kurdistan e per gli aiuti della Chiesa per la ricostruzione delle loro case dopo la liberazione, i cristiani sarebbero stati come la popolazione di Gaza, dato che il governo centrale non ha fatto nulla per loro».
Alla faccia della missione cristiana in cui si avvolgevano Bush e i suoi compari.
Gli attacchi contro i cristiani, sottolinea Luca Geronico, continuano tuttora prendendo di mira il loro lavoro, con la «confisca dello loro proprietà», oltre a casi di «conversioni forzate» o l’«islamizzazione dei minori». In questa situazione, il governo «non è serio nel fare giustizia per i cristiani».
Più di un milione di cristiani sono immigrati, molti di loro erano con un qualificato retroterra scientifici ed economici, ma a chi importa?», si chiede Sako.
Il risultato è che nei mesi scorsi 100 famiglie cristiane sono emigrate da Qaraqosh, a cui si devono aggiungere in questo nuovo flusso migratorio dozzine di famiglie fuggite da altre città.