Operazione Long Jump, il piano nazista per uccidere Churchill, Stalin e Roosevelt alla Conferenza di Teheran Operazione Long Jump, il piano nazista per uccidere Churchill, Stalin e Roosevelt alla Conferenza di Teheran

Operazione Long Jump, il piano nazista per uccidere Churchill, Stalin e Roosevelt alla Conferenza di Teheran

TEHERAN – Il 1° dicembre 1943 un’esplosione illuminò il cielo notturno di Teheran. Fu sentita in tutta la capitale iraniana.

E la notò anche il primo ministro inglese Winston Churchill, ospite dell’ambasciata britannica, ma è probabile che inizialmente non realizzò il cupo significato.

La sera aveva festeggiato il 69° compleanno. Avevano partecipato Franklin D. Roosevelt e Josef Stalin.

I “Grandi Tre” si incontrarono per la prima volta a Teheran per concertare i dettagli dell’assalto finale ai nazisti.

Ma la storica Conferenza di Teheran, che si svolse dal 28 novembre al 1 dicembre del 1943, per i nazisti rappresentava un audace tentativo per infiltrarsi nel vertice degli Alleati e uccidere i tre principali leader.

Consapevoli del fatto che l’uccisione di leader civili costituiva un crimine di guerra, i nazisti avevano eliminato la missione dai loro registri.

Secondo lo storico americano Howard Blum, i tedeschi sono stati “spaventosamente vicini” a compiere un attentato che avrebbe potuto cambiare il corso della storia.

Blum cita nuove prove dagli archivi declassificati degli ex alleati – in particolare quelli del servizio di intelligence sovietico – così come le testimonianze di coloro che sono direttamente coinvolti, tra cui Roosevelt e le guardie del corpo di Churchill.

Una missione con assassini e doppi agenti

Come racconta nel libro “Night Of The Assassins”, l’operazione – una storia contorta piena di freddi assassini, doppi agenti, doppio gioco e cieco coraggio – avrebbe potuto essere un film di guerra hollywoodiano.

Ma protagonisti erano i nazisti e non i britannici o gli americani.

Quando i tre leader chiarirono che avrebbero accettato solo la resa incondizionata, il comando nazista decise che la loro eliminazione avrebbe potuto aprire la strada ad altri politici e negoziare la pace.

Era stato proprio Churchill a far capire ai nazisti che sarebbe stato possibile ucciderli tutti in un sol colpo.

Fu quando si confidò durante una conversazione in Quebec nell’agosto del 1943 dicendo che insieme a Roosevelt volevano un incontro con Stalin.

Hitler chiese ai capi dell’intelligence di scoprire dove sarebbe avvenuto l’incontro. Era la massima priorità.

Avrebbe voluto rapirli, ma i suoi tirapiedi la ritenevano una cosa impossibile.  

Il capo delle SS Heinrich Himmler, un grande sostenitore dell’occulto, per avere degli indizi aveva persino setacciato i campi di concentramento così da trovare indovini affidabili e chi leggeva nelle sfere di cristallo.

L’operazione fu posta sotto il comando del generale delle SS Walter Schellenberg, uno dei capi dell’intelligence delle SS.

Aveva guidato l’operazione Willi, un fallito tentativo del 1940 di rapire il Duca di Windsor e convincerlo ad aiutare Hitler a siglare la pace con la Gran Bretagna.

Ma comandante sul campo era Otto Skorzeny. Il preferito di Hitler, che i giornali di tutto il mondo avevano definito “L’uomo più pericoloso d’Europa”.

Aveva reclutato circa 50 soldati russi ribelli. L’idea era che, indossando uniformi sovietiche, si sarebbero facilmente confusi con i veri militari di Stalin.

Armati di mitragliatrici russe, il loro compito principale doveva essere quello di tenere a bada le guardie del corpo degli Alleati mentre il resto della squadra, tedeschi appartenenti alla temuta divisione di Brandeburgo, avrebbero ucciso i leader.

Skorzeny riteneva che l’arma più efficace sarebbe stata una bomba e ne scelse – ironia della sorte – una britannica, la bomba Gammon.

Una granata a mano caricata con un’enorme quantità di esplosivo RDX di nuova generazione. I tedeschi avevano preso 50 bombe Gammon quando la RAF le lasciò cadere in Belgio per la Resistenza.

I dettagli fondamentali sul posto dove si sarebbe tenuto il vertice furono forniti dal cameriere dell’ambasciatore britannico in Turchia.

Si offrì di dare ai tedeschi foto di documenti britannici top secret in cambio di £ 20.000. Un messaggio via cavo spiegava che i “Tre Grandi” si sarebbero incontrati a Teheran, per quattro giorni, alla fine di novembre.

I nazisti erano entusiasti poiché nella capitale avevano una rete di spie, case sicure e trasmettitori radio.

Avevano escluso un’imboscata a qualsiasi corteo dei leader poiché non avevano idea di quando sarebbero arrivati o partiti e volevano colpire tutti e tre contemporaneamente.

Fu inviata una spia in ricognizione alle ambasciate che avrebbero ospitato i leader e dove si sarebbero incontrati.

Scoprirono che le tre ambasciate, britannica, statunitense e russa, erano gli unici edifici nella capitale con acqua potabile che arrivava direttamente dalle vicine montagne attraverso antichi acquedotti sotterranei o qanat.

Tunnel abbastanza ampi da poter ospitare tre uomini che camminavano spalla a spalla. Potevano essere raggiunti fuori città e, sorprendentemente, non erano custoditi.

Sfortunatamente per i nazisti, l’operazione di intelligence era stata fatalmente compromessa. Uno degli agenti tedeschi inviati in Iran era stato catturato e “convertito” dai russi.

In seguito gli permisero “scappare” in Germania dove fu considerato un eroe e insignito con la Croce di ferro.

I suoi capi dell’intelligence l’avevano messo a capo della postazione in Iran e quando gli organizzatori dell’Operazione Long Jump lo interrogarono (senza spiegarne il motivo) sulle ambasciate alleate a Teheran, sollecitò l’interesse di Mosca. I sovietici collegarono gli elementi.

L’Armata Rossa si riversò in città, rastrellarono circa 15.000 cittadini tedeschi e simpatizzanti nazisti, li chiusero nei campi di prigionia.

I meno fortunati furono torturati. Qualsiasi minaccia a Stalin doveva essere presa in considerazione.

La cattura dei paracadutisti tedeschi

Di ritorno in Germania, Skorzeny aveva finalizzato i piani per un’infiltrazione su quattro fronti a partire dal 27 novembre.

Due squadre di 18 soldati russi, ognuna con un interprete di origine iraniana, si sarebbero lanciate con il paracadute nel deserto fuori Teheran e con l’aiuto di tribù amiche avrebbero raggiunto delle case sicure.

Sei commando tedeschi, guidati dal maggiore delle SS Rudolf von Holten-Pflug, si sarebbero invece lanciati con il paracadute nel corso della notte.  

Skorzeny e altri cinque uomini avrebbero atteso fino a quando non fossero sicuri che tutti erano sistemati in sicurezza a Teheran.

Tutto era stato organizzato con la tipica precisione tedesca. Il generale delle SS Schellenberg, controllava regolarmente il tempo nei posti di atterraggio dei paracadutisti.

Ma i controlli avvenivano in presenza del doppio agente che aveva passato le informazioni direttamente a Mosca.

Risultato: la prima squadra dei 18 paracadutisti fu accolta da soldati russi. Alcuni furono uccisi e altri catturati.

Furono trasferiti nelle celle sotterranee del quartier generale a Teheran dell’NKVD, la spietata polizia segreta di Stalin e scomparvero nel nulla.

La seconda squadra, guidata da Hans von Ortel, arrivò in sicurezza e fu accolta dalle tribù amiche con camion e cammelli.

Ma il convoglio attirò l’attenzione di un agente NKVD, Gevork Vartanyan, di soli 19 anni. Si chiese perché i soldati russi stessero cavalcando dei cammelli e notò che i camion non avevano marchi sovietici.

Con i suoi compagni, spie adolescenti soprannominate “cavalleria leggera” dai colleghi perché usavano la  bicicletta, seguirono silenziosamente i commando che si dirigeva verso una casa sicura.

I nazisti si resero conto che i giochi erano chiusi. Ortel con il trasmettitore radio, aveva mandato a Berlino la parola in codice per interrompere la missione ma irruppero le truppe sovietiche e ne seguì un feroce scontro a fuoco.

Skorzeny, pronto a muoversi con la sua unità, ricevette il messaggio radio.  

Si arrese e non ammise mai di aver preso parte all’operazione.

Quando l’interprete dei tedeschi tornò da un viaggio di ricognizione nella capitale, confermò che l’operazione era stata sospesa quando aveva visto le truppe russe prendere d’assalto il deposito di tappeti, la casa sicura.

Eppure avevano ancora una cassa di bombe Gammon, le armi automatiche Sten britanniche, enormi quantità di munizioni e la consapevolezza che i compagni catturati non sarebbero stati in grado di rivelare tutti i dettagli della missione poiché non ne erano a conoscenza.

I russi comunicarono velocemente agli alleati di aver ucciso o catturato 38 paracadutisti nazisti e che, sebbene 6 fossero riusciti a scappare, erano convinti che avrebbero cercato rifugio nella vicina Turchia.

La sicurezza fu rafforzata con cecchini posizionati sui tetti dell’ambasciata e una ricerca casa per casa.

Roosevelt, la cui ambasciata era alla periferia della città, fu convinto  a rimanere nell’enorme ambasciata sovietica, accanto a quella britannica, protette da un recinto murato.

Nel frattempo, Holten-Pflug e i suoi commando avevano chiesto aiuto al leader di un gruppo di corpulenti lottatori iraniani che a volte davano man forte alle spie tedesche.

Fu corrotto (usando £ 1.000 di banconote inglesi false che i nazisti avevano stampato in un precedente tentativo di destabilizzare l’economia del Regno Unito) per far rifugiare i commando nella sua palestra.

La mattina successiva, il 30 novembre, Holten-Pflug radunò i suoi uomini e spiegò il piano dei nazisti.

Fallimento dell’attentato

Era certo che il compleanno di Churchill fosse l’occasione in cui i tre leader sarebbero stati insieme. Li avrebbero uccisi quella sera al party presso l’ambasciata britannica.

Entrando nel complesso attraverso l’acquedotto sarebbero entrati attraverso il giardino, al buio e, pistole alla mano, avrebbero fatto irruzione nella sala mentre i tre leader e 30 ospiti festeggiano con champagne, caviale e una gigantesca torta di compleanno a forma di V, la vittoria.

Holten-Pflug aveva insistito affinché indossassero le uniformi tedesche. I nemici dovevano sapere chi li stava uccidendo.

Mentre i tedeschi aspettavano l’arrivo del camion del lottatore iraniano che li avrebbe portati all’acquedotto fuori dalla città, furono circondati e bloccati da una dozzina di altri lottatori. Volevano prendere la ricompensa di $ 20.000 che gli Alleati avevano offerto per la loro cattura.

Riuscirono a scappare ma era troppo tardi per entrare nell’ambasciata. Gli Alleati avevano comunque scoperto il piano dell’acquedotto grazie a un prigioniero e stavano sorvegliando l’ingresso.

Trascorsero la notte successiva nascosti nelle celle della polizia. L’interprete aveva corrotto un tenente filo-nazista.

La mattina successiva, il poliziotto aveva permesso loro di rifugiarsi nella sua abitazione. Lì i tedeschi escogitarono un ultimo piano per tendere un’imboscata al corteo dei leader mentre si dirigevano verso l’aerodromo una volta concluso il summit.

Non potevano farcela da soli, ma quando Holten-Pflug andando oltre l’orgoglio chiese di nuovo aiuto ai lottatori, furono nuovamente traditi.

Le truppe russe circondarono la casa e dissero ai commando nazisti di arrendersi o morire.

Scelsero la seconda opzione. Fecero esplodere le bombe Gammon.

I tre leader lasciarono Teheran. “Sono contento”, scrisse Stalin a Roosevelt quando rientrò in Russia, “che a Teheran il destino mi abbia dato l’opportunità di farti un favore”.

Ora sembra chiaro quanto fosse stato grande il favore. (Fonte: Daily Mail).

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