Italiani sequestrati dai pirati, i parenti: “La Farnesina non ci aiuta”

Pubblicato il 26 Agosto 2011 - 11:46 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – “Da due mesi siamo senza notizie dei nostri cari. Cosa possiamo fare per giungere ad una definitiva, quanto positiva, risoluzione del sequestro della Savina?”: lo domanda, in un colloquio con il Corriere della Sera, Nicola Verrecchia, il figlio si Antonio, direttore di macchina della petroliera Savina Caylyn, sequestrata dai pirati al largo della Somalia lo scorso 8 febbraio.

Oltre ad Antonio, nelle mani degli stessi pirati ci sono altri cinque marinai italiani e diciassette marittimi indiani.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha fatto sapere con un comunicato che “il governo italiano non può contemplare la possibilità di una trattativa diretta con i pirati e tanto meno di pagare riscatti per la liberazione degli ostaggi, come espressamente vietato dalla normativa – a cominciare da quella riflessa nelle risoluzioni ONU – che esclude qualsiasi forma di favoreggiamento delle attività di pirateria da parte degli Stati”.

Questo nonostante i pirati abbiano fatto sapere a più riprese che non rilasceranno né la nave né l’equipaggio se non saranno pagati 14 milioni di dollari. Ma gli stessi rapitori sostengono che, a dispetto delle normative che vietano pagamenti di riscatti, Riccardo, il negoziatore dell’armatore (la Fratelli D’Amato) ha offerto 7,5 milioni di dollari. Ai pirati però non sono bastati, e così la trattativa si è interrotta.

Tra l’altro, sottolinea il Corriere della Sera, Riccardo vive in Gran Bretagna e al suo numero di cellulare non risponde più. I pirati hanno detto che non intendono comunque parlare con lui: “Siamo stati presi in giro – raccontano – vogliamo comunicare direttamente con l’armatore”.

“Le assicurazioni della Farnesina non ci rassicurano per nulla – commenta Nicola Verrecchia -. Ci dicono di attendere e che stanno facendo sforzi diplomatici. Ma con chi? Con un governo somalo che a malapena controlla una parte di Mogadiscio o con quello del Puntland che i rapporti dell’ONU descrivono in complicità con la pirateria?”.

Nelle mani dei pirati somali c’è anche un’altra nave italiana, la Rosalia D’Amato, di proprietà della Perseveranza Navigazione, catturata il 21 aprile scorso con 6 italiani e 15 filippini. Di questa nave nessuno sa nulla e se si prova a telefonare un pirata, con un improbabile inglese, spiega che non si può parlare con l’equipaggio.