Quel ponte in Sudan, simbolo di una Protezione civile lontana dagli scandali

C’è un angolo del mondo dove la Protezione civile italiana costruisce ponti senza che arrivi l’eco degli scandali giudiziari in cui è coinvolta nelle aule dei tribunali italiani. Succede in Sudan, in una delle regioni più povere, piagate da fame, povertà e costanti conflitti etnici. Succede appunto che lì la nostra Protezione civile abbia costruito un ponte in ferro, un modello semplice e poco dispendioso: il Ponte Italia.

Un’impresa temeraria, perchè sorge in un luogo lontano mille chilometri dal primo aeroporto. Eppure è stata fatta, come racconta un libro: “Nella terra dei Dinka”, con prefazione di Guido Bertolaso. Il ponte è stato costruito dall’impresa friulana, la Patrucco&sons e anche grazie al contributo di tanti volontari e alla caparbietà di un padre comboniano, Giovanni Girardi.

Il ponte sorge davvero come una cattedrale nel deserto, spicca nella distesa arida di case di  fango abitate da un popolo che vive, per il 92%, sotto la soglia di povertà. Un popolo in cui 25 bambini su 100 non raggiungono i 5 anni di età e solo 1 su 3 va a scuola.

In questo contesto è comprensibile che i tecnici della Protezione civile, all’idea di dover costruire lì, si siano chiesti: “Come si può costruire un ponte lì, fuori dal mondo?”.

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