RABAT (MAROCCO) – La primavera araba ha spazzato via le prostitute dal Marocco. Anche da Qain Leuh, paesino sulle montagne dell’Atlante, fino a pochi mesi fa una sorta di “Amsterdam” del Maghreb, con i suoi quartieri a luci rosse e le file di uomini dopo il Ramadam.
Gli islamici marocchini rifiutano la definizione di fanatici, negano di aver condotto una campagna religiosa. Alcuni li accusano di aver messo i lucchetti alle case delle prostitute, e di aver incarcerato molte delle ragazze. Altri dicono che si sono limitati a qualche manifestazione nella piazza principale del paese. Quel che è certo, sottolinea il New York Times, è che le signorine che prima, in tute attillate o vestaglie, offrivano le loro prestazioni in natura, ora si sono reinventate venditrici di caramelle o tessitrici di tappeti berberi.
Il reportage del New York Times mostra gli effetti delle rivoluzioni che nell’ultimo anno hanno cambiato il volto di Paesi come Tunisia ed Egitto. Via i vecchi governanti, avanti con le ancor più vecchie leggi. E se qualcuno è contento così, altri lo sono meno.
Come ha raccontato Ali Adane al New York Times: “Qui l’economia è in caduta libera. Un tempo le ragazze affittavano le case, avevano soldi da spendere, facevano acquisti. Alcune persone sono davvero felici per i cambiamenti. Ma altre persone non lo sono”.
Tutto questo nonostante il Marocco abbia evitato molte delle violenze e dei cambiamenti che ci sono stati in altri Paesi musulmani del Nord Africa. Il capo di Stato è sempre il re Mohammed VI, anche se ha accettato di vedersi ridurre i poteri e di varare alcune riforme. Un prezzo comunque limitato pur di restare al potere.
La Costituzione è stata cambiata e a capo del nuovo governo è arrivato un partito islamico moderato, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo. Il nuovo primo ministro, Abdelilah Benkiran, che ha rinunciato a molti dei vantaggi del suo ruolo, puntando a socializzare con il popolo.
Ma nel Paese c’è anche chi pensa (e dice) che nessuno sta governando davvero a parte le milizie islamiche. Anche se per molti tra gli stessi marocchini con l’Islam, con la religione, queste campagne di “terrore” e moralizzazione hanno davvero poco a che fare.
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