Putin come i Medici e i Tudor: ha un assaggiatore personale di cibo

di redazione Blitz
Pubblicato il 29 Dicembre 2018 - 06:58 OLTRE 6 MESI FA
Putin come i Medici e i Tudor ha un assaggiatore personale di cibo

Putin come i Medici e i Tudor ha un assaggiatore personale di cibo

MOSCA – Per timore di essere avvelenati, i Tudor e i Medici a corte avevano gli assaggiatori di cibo e anche Putin, oltre a guardie del corpo, cuochi e medici ha un assaggiatore personale. Grazie ai russi, scrive Eleanor Herman nel libro “The royal art of poison”, la morte per avvelenamento è “viva e vegeta anche nell’era digitale”, come ben sa la brava gente di Salisbury.  

A Mosca, nel 1921, su ordine di Lenin il servizio segreto russo aveva allestito un laboratorio “tuttora esistente” per creare dei veleni, secondo quanto scrive la Herman. Alexander Litvinenko è stato assassinato nel 2006 da particelle radioattive di polonio 210, un milione di volte più letale del cianuro e a marzo di quest’anno, Sergei e Yulia Skripal, che vivevano tranquillamente nel Wiltshire, sono stati colpiti dal novichok messo sulla maniglia della porta.

L’autrice, in The Royal Art Of Poison, sostiene che Vladimir Putin è l’unico leader mondiale che “impiega un assaggiatore di cibo personale come i sovrani del passato” e nel periodo medievale e rinascimentale ci fu un vero e proprio boom di veleni.

Nel Rinascimento fiorentino, i Medici avevano delle stanze in cui dei maghi realizzavano dei veleni mortali con l’arsenico, il mercurio, piombo ed erbe varie poi testati sui prigionieri. Uno degli escamotage per avvelenare una persona era quello di far credere che la fiala contenesse acqua benedetta. In Francia, a causa di voci su possibili intrighi, cognati gelosi e pretendenti al trono, le regine e amanti del re non avevano scampo: il dolore era simile a quello di mille lame roventi nelle loro viscere. A Versailles si sentivano le urla di persone che ormai agonizzanti si contorcevano dal dolore tra le lenzuola intrise di sudore. 

Il timore di Luigi XIV di essere avvelenato era tale che il monarca impiegava 324 dipendenti il cui compito era quello di assaggiare i suoi pasti. Questi “Ufficiali della coppa” passavano la lingua e le dita attorno a calici, piatti, posate e strofinavano la tovaglia e i tovaglioli sull’epidermide. Se le labbra non prudevano o non si gonfiavano, era il segnale che gli oggetti fossero privi di veleni”. E se il reale intestino fosse andato in subbuglio ai servi spettava la tortura per sospetto tradimento.  

In Inghilterra, le misure di sicurezza di Enrico VIII si estesero anche all’ispezione di cuscini, biancheria da letto e vestiti, in particolare delle mutande, nel caso in cui il tessuto fosse stato deliberatamente impregnato di “sostanza nociva”. Era inoltre compito di un povero ragazzo esaminare il sedile del gabinetto reale. La regina Elisabetta I mantenne l’usanza di controllare possibili avvelenamenti: prima di essere utilizzati i profumi e cosmetici erano testati sulle dame di compagnia.

Nel libro, Eleanor Herman fa un’ipotesi molto interessante. Mentre le storie sinistre di guanti avvelenati e elaborati intrecci e stratagemmi sull’assassinio politico vanno bene per la lettura popolare, a chi non piace la teoria del complotto? Può essere invece che, dato il modo in cui tutti vivevano all’epoca, una persona importante che avesse un attacco apoplettico o diarrea, nausea, vomito, disidratazione, morisse di morte naturale e non per avvelenamento. 

A Venezia, tra il 1431 e il 1767, infatti, sono stati accertati solo 34 casi di avvelenamento ai danni di politici, di questi 11 tentativi sono falliti, 12 non sono stati registrati e di fatto arrivano a nove. È importante ricordare che, al culmine dell’epoca dei veleni, non esistevano la refrigerazione, la pastorizzazione o ispettori che supervisionassero la sicurezza alimentare. Fino agli anni ’40 non c’erano antibiotici, per cui l’intossicazione alimentare era un killer comune. I gabinetti con sistema di scarico sono arrivati nel 1880. Con pochi servizi igienico-sanitari, i pozzi neri che fuoriuscivano dai muri inquinando le acque era facile che scatenassero epidemie di colera. Il terreno dei cimiteri era saturo di vapori di metano e idrogeno solforato dei cadaveri in putrefazione e che uccidevano i passanti.
Le persone non si lavavano. La convinzione era che lo sporco impedisse alle malattie di entrare nel corpo, per cui mutande e giacche venivano indossate per mesi. Isabella di Spagna si lavò due volte in tutta la sua vita.

Se la corte dei Tudor si trasferiva da un palazzo all’altro nel giro di poche settimane era per lasciare liberi i locali così da poter essere “ripuliti da urina e feci”.  Herman sostiene dunque che ciò che una volta era attribuito all’avvelenamento potrebbe invece trattarsi di malaria, tubercolosi, ulcere gastriche perforate, tifo, quest’ultimo contratto facilmente dal consumo di ostriche crude o nuotando nel Tamigi. Avere i vermi era normale. 

Quando le regine morivano poco dopo il parto, come la terza moglie di Enrico VIII, Jane Seymour, era per sepsi da strumenti medici contaminati e non per un complotto segreto. Se ci sono cattivi da trovare, sono i medici dell’epoca: le loro cure erano più pericolose della malattia stessa. Clisteri di acido solforico; il mercurio contro le ulcere; lassativi noti come “fulmini” e l’inutile ed eccessiva coppettazione e il sanguinamento.

Ciononostante, mentre si dice che Re Herod avesse “le parti intime in cancrena”, i recenti drammi di Salisbury mostrano che l’avvelenamento non può essere ancora relegato in una casa degli orrori. La Herman vorrebbe scrivere un seguito del libro, in cui parla dei veleni nei campi di battaglia della prima guerra mondiale all’attuale rinascita, in cui l’obiettivo sembra essere quello di trovare formule per nuovi veleni che non lasciano assolutamente traccia. Un fatto spaventoso anche se non così spaventoso come subire un clistere di acido solforico.