USA, SAN FRANCISCO – Una rete anti-suicidi sotto il Golden Gate Bridge è la risposta che la città di San Francisco si prepara finalmente a dare di fronte al crescente numero di persone che salgono sul leggendario ponte per togliersi la vita. L’anno scorso è stato da Guinness: 46 tuffi letali dalla maestosa struttura arancione che attraversa la Baia.
Altri 118 aspiranti suicidi fermati dai sorveglianti del ponte. Cifre spropositate: un tentativo praticamente un giorno sì e un giorno no da quello che è diventato il più popolare luogo per por fine ai propri giorni negli interi Stati Uniti e il secondo al mondo dopo il ponte sullo Yanktze nella citt� cinese di Nanchino. Ma a differenza di altri potenziali magneti per suicidi come la Tour Eiffel e l’Empire State Building, il Golden Gate non si è mai dotato di alcuna protezione per fermare questi tragici gesti.
Anche perchè, a giudizio di molti suoi abitanti, la nuova struttura ingegneristica “guasterebbe l’estetica del ponte più fotografato del mondo”. Circa 1.600 persone si sono tolte la vita da quando nel 1937 il Golden Gate è stato aperto al traffico. Sono 60 anni che si parla di creare una struttura protettiva ma fino a oggi le parti coinvolte non si erano mai messe d’accordo. Negli ultimi giorni la situazione ha raggiungo una massa critica. Con le statistiche in drammatico aumento e l’età di chi tenta di uccidersi in rapida diminuzione, i direttori del Golden Gate Bridge, Highway and Traffic District hanno deciso di andare avanti.
Potrebbe succedere a fine maggio: a pagare per i 66 milioni di dollari necessari alla costruzione della rete sarebbero i proventi dei pedaggi in aggiunta a finanziamenti federali. Ma a livello di opinione pubblica l’opposizione resta alta: “Un sacco di progressisti di questa città non digeriscono l’idea”, ha dichiarato il consigliere statale Tom Ammiano: “Credono nelle quote anti-discrimanzione, credono nei diritti dei gay ma quando parli della rete anti-suicidi si oppongono: a loro piace il ponte così com’è”.
Altri preconcetti sono risultati difficili da sconfiggere. Si dice ad esempio che buttarsi da un ponte sia un modo indolore di morire: “E’ vero invece l’opposto”, ha spiegato Ken Holmes, l’ex medico legale della Marin County diventato un sostenitore della rete dopo aver visto le conseguenze del grande salto su troppi cadaveri di suicidi: tutti morti annegati o per emorragie interne o per il corpo a pezzi.