ROMA-Una fusione nucleare incontrollata in un reattore, radiazioni letali in quantità che rende impossibile o quasi suicida lavorare a Fukushima, la possibilità sempre più concreta che laggiù diventi una Chernobyl moltiplicata per tre o per quattro: in Giappone è dramma. In Italia è…verrebbe da dire farsa. Ma è qualcosa di più e di meno di una comica, in Italia è nube sì, ma nella testa. Ci perdonerà o forse no la preside della scuola elementare di via Cilea a Roma, ma la sua, se le cose sono andate davvero come raccontano i giornali, è una piccola ed esemplare storia di rinuncia, abdicazione e confusione. Rinuncia alla ragione, abdicazione al ruolo di guida, confusione del concetto di responsabilità.
E’ accaduto venerdì 25 marzo in quella scuola che gli alunni, i bambini, siano stati tenuti in classe e non siano stati fatti uscire in giardino per l’intervallo. La dirigente scolastica Maria Pia Sorce ha spiegato: “Ho chiesto io ai docenti di lasciare gli alunni nelle classi durante la ricreazione: anche se il Ministero della Salute non ha inviato alcuna nota mi è sembrata una procedura necessaria”. Necessaria? Necessario tenere i bambini al riparo dalla “nube radioattiva”? No, questo certamente la dirigente scolastica non può crederlo. Non può non sapere che esiste una cosa che si chiama geografia, un’altra che si chiama pianeta Terra e una terza che si chiama scienza, sia pure nella versione elementare detta aritmetica. La preside di una scuola non può non sapere che corrono migliaia di chilometri tra Fukushima e via Cilea a Roma, che la nube per arrivare eventualmente all’Urbe prima ha dovuto percorrere mezzo pianeta e irradiarlo di radiazioni pericolose se non letali, che se pericoloso è un raggio di migliaia di chilometri allora la circoferenza della Terra è troppo piccola, il nostro pianeta non basta e per stare al sicuro occorre riparare su altro pianeta. Forse una preside di scuola potrebbe anche sapere che una parete in muratura non ripara da una radiazione, ammesso che questa radiazione ci sia. A meno che non creda che i raggi del sole siano “radioattivi”. Tutte queste cose quella preside le sa, certamente le sa.
E allora perché le è apparso “necessario” tenere i bambini in classe? Forse perché ha visto in questi giorni molta gente che aveva paura ad uscire, esitava ad uscire di casa, si scambiava di bocca in bocca ansiose e ignoranti preoccupazioni. La preside deve aver sentito questa atmosfera, questa pressione. E quindi ha rinunciato a ragionare e far ragionare, ha adottato un “principio di precauzione” non verso la radiottività ma verso la società: ha preso la precauzione di non contraddire, anzi di soddisfare preventivamente i più ansiosi, i meno informati, i meno ragionanti e i più ignoranti. Li tengo in classe così evito guai, guai non nucleari ma guai con i genitori. Ha confuso la sua responsabilità verso la salute dei bambini con la responsabilità di non avere grane. Un esempio, non isolato ma a suo modo clamoroso di “nube nella testa” e non nell’atmosfera. Ma forse non è andata come racconta la cronaca romana del quotidiano La Repubblica, forse, vogliamo sperare, la storia dei bimbi tenuti in classe alla scuola elementare di via Cilea a Roma è inventata, gonfiata, distorta e inesistente: come la nube radioattiva appunto.
I commenti sono chiusi.