WASHINGTON – Ancora guai attorno alla Casa Bianca: Paul Manafort, l’ex capo della campagna elettorale di Donald Trump si è consegnato alle autorità. Mentre George Papadopolous, ex collaboratore volontario della campagna, si è dichiarato colpevole per aver reso false dichiarazioni all’Fbi nell’ambito delle indagini sul Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller.
Papadopolous, fa sapere lo stesso ufficio del procuratore, ha mentito all’Fbi “sui tempi, l’estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo”.
In una email del marzo 2016, Papadopoulos propose di organizzare un incontro tra dirigenti russi e dirigenti della campagna di Trump, con oggetto “Incontro con la leadership russa, incluso Putin”. La proposta fu però respinta da Paul Manafort, ex manager della campagna finito al centro dell’inchiesta.
Intanto Manafort, secondo quanto reso noto dall’Fbi, si è consegnato alle autorità. Sono 12 i capi di imputazione contro Manafort, compreso quello di cospirazione contro gli Stati Uniti, ha riferito l’ufficio del procuratore speciale, Bob Mueller, che ha anche fornito una copia, con diversi omissis, dell’atto di incriminazione dell’ex capo della campagna di Trump e del suo ex socio Rick Gates, che lo scorso aprile è stato rimosso dalla guida del gruppo pro Trump America First Policies.
Dal documento emerge che i due sono stati incriminati per riciclaggio, per aver operato come lobbisti di Paesi stranieri senza essere registrati, per aver ingannato il governo riguardo alla natura della loro attività di lobbying in favore di Paesi stranieri e per aver rilasciato false dichiarazioni. Poi ci sono sette capi di imputazione per non aver presentato i documenti appropriati relativi a conti finanziari all’estero.
L’ufficio di Mueller ha rilasciato i documenti dopo che Manafort e Gates si sono consegnati all’Fbi.
Finito da subito nel mirino degli investigatori di Mueller per i suoi sospetti contratti di consulenza con l’ex presidente filorusso ucraino Viktor Yanukovych, l’ex manager della campagna di Trump ha in precedenza negato ogni irregolarità nei pagamenti ricevuti da Kiev, o nei conti aperti in paradisi fiscali off shore e nelle diverse transazioni immobiliari, che hanno anche attirato l’attenzione dell’Fbi.
A compromettere la sua posizione sarebbero stati i documenti emersi da un libro paga segreto del Partito delle Regioni che provano come la società di consulenze di Manafort ha ricevuto oltre 12 milioni dal partito filorusso tra il 2012 e il 2014.
Un segnale del fatto che l’attenzione degli inquirenti si stava concentrando intorno a Manafort era arrivato lo scorso 26 luglio quando, all’indomani quindi della sua deposizione, a porte chiuse, di fronte alla commissione intelligence del Senato, agenti dell’Fbi avevano condotto un plateale blitz all’alba nella sua casa di Alexandria per sequestrare documenti e altro materiale.
Questo sviluppo segna una svolta netta nell’inchiesta di Mueller, dal momento che per la prima volta finiscono agli arresti due ex membri della squadra elettorale di Trump. Un portavoce della Casa Bianca ha detto che l’amministrazione Trump “potrebbe non avere nulla da commentare” riguardo a queste incriminazioni. Oltre alle interferenze russe con le elezioni, e le possibili collusioni con il governo russo da parte della campagna elettorale di Trump, Mueller ha anche il compito di indagare su possibili azioni condotte dall’amministrazione per intralciare il corso della giustizia, in particolare riguardo al licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey.