Sakineh, Lewis e i media: Amnesty, islam e lapidazione rendono il caso iraniano più “interessante”

Sakineh Ashtiani

”Ogni esecuzione è un crimine osceno contro l’umanità”, ma le storie vengono trattate in modo diverso dall’opinione pubblica e l’atteggiamento che questa prende dipende dai media. E’ la lettura del caso di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per impiccagione per l’omicidio del marito, per la quale è stata messa in piedi una mobilitazione internazionale, rispetto a quello dell’americana Teresa Lewis, giustiziata negli Stati Uniti, secondo il neosegretario di Amnesty International, Saly Shetty, intervistato da La Stampa.

”Il caso iraniano ha fatto più clamore perché è complesso, introduce una lunga serie di violazioni – precisa Shetty – e tutto ciò accade in un Paese al centro di numerose controversie. E aggiunge un’offesa ai diritti che si inserisce in un contesto di grave contrapposizione politica, militare e religiosa”. Oltre a questi fattori, secondo Shetty, è da considerare anche il fatto che per il caso di Sakineh, ”il mondo islamico si è sentito messo sotto pressione”.

Secondo Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio, intervistato sempre da La Stampa, ”le pressioni dell’opinione pubblica non bastano”. Per disarmare il boia occorre impegnare ”i canali diplomatici e collaborare con le classi dirigenti dei Paesi non abolizionisti”. Mentre per Matteo Mecacci, deputato radicale e membro del direttivo di Nessuno tocchi Caino, è necessario ”rafforzare la risoluzione del 2007 dell’Onu sulla moratoria”.

”Concentrarsi sui casi singoli va bene – dice a La Stampa – ma è bene portare la sfida ad un livello istituzionale e politico”. La lapidazione ”è stata la molla che ha mosso tutto”, secondo Arianna Ballotta presidente della Coalizione Italiana contro la pena di morte, che suggerisce dalle pagine del quotidiano di Torino di sensibilizzare l’opinione pubblica su tutte le forme di condanna a morte.

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