Il sito femminile americano Jezebel, oggi uno dei più seguiti e autorevoli, ha aspramente criticato la campagna “d’autore” per salvare l’iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani dalla lapidazione, lanciata, domenica scorsa sull’Huffington Post, dal filosofo francese Bernard-Henri Levy, la stessa mente che ideò la petizione delle star per chiedere la liberazione di Roman Polanski.
L’idea dell’intellettuale francese, in sé, è onorevole: Sakineh Ashtani, madre di due figlie, è stata condannata alla lapidazione per adulterio e Levy spera che una mobilitazione delle celebrità occidentali possa fermare la barbara esecuzione.
Per questo, ogni giorno, un politico, un artista o un intellettuale scriverà una lettera alla donna, «per farla sentire meno sola e per far sapere ai suoi assassini che il mondo li sta guardando ed è pronto a giudicarli».
La prima penna d’eccezione a vergare un sentito messaggio di solidarietà, è stata quella dell’attrice francese Isabelle Adjani, che ha definito Ashtiani «un invincibile simbolo di libertà» per tutte le donne del mondo.
Di fronte a questa lodevole iniziativa, il sito americano Jezebel resta però scettico: come è possibile che le stesse persone che giustificarono lo stupro di una ragazzina, nel caso di Roman Polanski, ora si ergano a difensori dei diritti femminili? Non è forse ipocrita – si chiede il sito – considerare Polanski un «martire» (come scrissero i supporter del regista nella petizione) e poi indignarsi per la crudeltà che sta per essere commessa nei confronti di questa vera martire del regime?
«Levy e gli altri sostenitori del movimento per la liberazione di Polanski hanno compromesso per sempre la propria integrità di difensori dei diritti delle donne – conclude Jezebel – e le loro parole hanno perciò molto meno peso di quelle di chi si oppone contro qualunque reato commesso contro le donne». Stupro compreso.
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