Santo Domingo, paura e cinismo degli italiani: e la Coppa Italia?

Pubblicato il 13 Gennaio 2010 - 19:36 OLTRE 6 MESI FA

A Santo Domingo, le preoccupazioni degli italiani riguardano i risultati della Coppa Italia

Paura e cinismo si incrociano sulle spiagge orientali della Repubblica dominicana, dove vive, fa affari, cerca avventure e trascorre gli anni della pensione una folta comunità di italiani.

Le scosse partite da Haiti qui non sono state particolarmente violente, ma gli sguardi degli italiani scesi in strada dagli alberghi di Sosua, Casa de Campo, La Romana e Boca Chica sono eloquenti: il paradiso del divertimento facile per una volta si rivela luogo di preoccupazione.

«Che spavento – racconta Max, medico romano in vacanza prolungata a Boca Chica – mi ballava tutto intorno. Mi sembrava come quando avvertimmo nella Capitale le scosse del terremoto d’Abruzzo. A ripartire per l’Italia non ci penso, piuttosto provo tristezza per gli haitiani di qui che temono per i loro parenti oltre frontiera. Ma, visto che riuscite a parlare con l’Italia, la Roma che ha fatto?».

L’angosciante dilemma sul fronte calcistico viene declinato in molte maniere, diventando Juve, Napoli e così via. Al punto che la Coppa Italia si interseca in maniera tragicomica con la catastrofe caraibica.

«Io invece – spiega Leo De Magistris, un romano fidanzato a Santo Domingo – non ho sentito niente. Dormivo, ero stato tutto il giorno in barca. A proposito: sarà il caso di uscire nelle prossime ore?». Carlo Adamo con quel nome ha scelto di vendere Bibbie e materiale sacro.

Ma la sua vacanza gaucciana (dal nome dell’italiano più celebre tra gli aficionados di Santo Domingo) se la fa: «E non ho nessuna intenzione di ripartire, sono appena arrivato. Certo, mi sono impaurito». C’é anche, però, chi tra gli italiani di Santo Domingo è qui per lavoro. Come i dipendenti della Chella, azienda romana molto attiva sul fronte dell’ingegneria civile.

«Stiamo costruendo una strada ad Haiti – spiega nella sede della capitale dominicana Paolo Della Libera, responsabile dell’ufficio acquisti – e di un acquedotto qui. Ad Haiti abbiamo dodici dipendenti italiani, tutti illesi: nonostante sia a soli 100 chilometri da Port au Prince, il nostro campo è rimasto intatto. Quindi, anche se ovviamente i lavori sono ora bloccati, i miei colleghi rimangono lì e per decisione aziendale mettiamo a disposizione le nostre strutture per gli italiani che sono ad Haiti. Quanto al versante dominicano, qui siamo in cinque e tutto procede regolarmente».