ROMA – O paghi 1.500 euro e più oppure puoi essere usato come forza lavoro o come donatore di organi: è la vita dei migranti che arrivano sulle coste di Italia e Malta, per lo più dalla Libia. Sì, perché se i migranti una volta arrivati a destinazione non saldano il debito possono essere utilizzati come donatori di reni o altro. A raccontarne i dettagli, contenuti nell’ordinanza di una inchiesta scattata a luglio, è Ilaria Sacchettoni sul Corriere della Sera.
I migranti vengono
“segregati in un’area di sosta («Mezhra») a Tripoli. Imbarcati con un numero di codice che conferma pagamento e destinazione (Italia-Malta): la lettera «M» e un numero progressivo. Così fra, maggio e luglio scorso, sono sbarcati in Italia «M7», «M8», «M9» (e così via) che gli investigatori hanno scoperto essere la giovanissima eritrea Rozina Debesay e i due connazionali Yorsalam Keshi Nuguse e Semere Tekea, tutti diretti in Germania, attraverso una tappa in Italia. Vivi. Miracolati.
(…) Il prezzo è competitivo: 1.500 euro a passeggero per la tratta Tripoli-Lampedusa, laddove altre organizzazioni chiedono il doppio o il triplo. In caso di insolvenza, il gruppo è libero di cedere gli immigrati «ad altre organizzazioni, di utilizzarli come forza lavoro, oppure come donatori di organi», secondo lo schema raggelante che filtra dalle intercettazioni”.
Alla scoperta di questo schema si è arrivati nell’inchiesta che ha portato all’arresto, a Roma, del
“cassiere appartenente al nucleo eritreo-libico che sbarca profughi fra Lampedusa e Malta e di 4 suoi colleghi «collettori» di denaro fra famiglie immigrate a Milano, Bologna e Torino conferma, secondo i magistrati, «capacità imprenditoriali» e «distribuzione capillare territoriale» dei trafficanti fra Europa, Africa e Israele”.
“Cassiere e complici si muovono nel triangolo fra Ponte Mammolo, Termini e la Collatina. Brhane ha il suo «ufficio», un capannone, in via Collatina. Le famiglie lo pagano attraverso bonifici su Postapay i cui scontrini sono ora allegati all’ordinanza del gip Tiziana Coccoluto.Gli investigatori ritengono che in quel capannone ci sia anche l’elenco passeggeri del 3 ottobre scorso a Lampedusa: 366 morti di fronte all’isola. Un oceano di bare stipato nell’hangar aeroportuale”.
Una vera e propria industria “compatibile con lo stato di schiavitù”, si legge nell’ordinanza.
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