ROMA – “Avevo bisogno di credere in qualcosa, di conoscere le ragioni di quanto mi stava accadendo. Ho espresso la volontà di diventare musulmana. Ho recitato le formule e ho dichiarato che Allah è l’unico Dio. È durato tutto pochi minuti. Nessuno mi ha obbligata, è stata una mia scelta. E in quel momento ho scelto di chiamarmi Aisha”: Silvia Romano ha raccontato così agli inquirenti la propria conversione all’Islam durante i 18 mesi in cui è stata sequestrata tra Kenya e Somalia.
La conversione è arrivata dopo cinque mesi di prigionia ed è avvenuta con una vera e propria cerimonia alla presenza dei carcerieri della giovane cooperante.
“Volevo pregare e mi hanno messo il Corano scritto in arabo e in italiano. Mi hanno anche dato dei libri. Ero sempre da sola e a un certo punto mi sono avvicinata a una realtà superiore. Pregavo sempre di più, passavo il tempo a studiare quei testi. Ho imparato anche un po’ di arabo”, ha spiegato Silvia Romano.
E a chiarire che la conversione sia una scelta comprensibile è anche la madre della giovane cooperante: “Chi non si sarebbe convertito dopo due anni passati così?”.
Il Corriere della Sera riporta anche i dettagli della cerimonia, la shahada. Silvia ha recitato la formula e in quel momento è avvenuta ufficialmente la conversione: “Pregavo e guardavo video. Mi mettevano filmati su quello che accadeva fuori, li prendevano da Al Jazeera”.
Così, una volta liberata e arrivata alla sede diplomatica italiana a Mogadiscio, Silvia ha deciso di tenere gli abiti somali e la tunica che le copre il capo.
Alla domanda se volesse cambiarsi, lei ha riposto di stare bene così: “Adesso mi chiamo Aisha, tornerò in Italia con questi vestiti. Continuerò a tenere il velo. Ne parlerò poi con mamma”. (Fonti: Il Corriere della Sera, Il Messaggero)