Terrorismo, autopsia: l’uomo dell’aeroporto di Orly era ubriaco e drogato

Terrorismo, autopsia: l'uomo dell'aeroporto di Orly era ubriaco e drogato
Terrorismo, autopsia: l’uomo dell’aeroporto di Orly era ubriaco e drogato

PARIGI – Le presidenziali sono al rush finale ma, dopo le inchieste della magistratura sui candidati, ad occupare la scena torna l’allerta terrorismo. Sull‘attentato di sabato all’aeroporto di Orly, la verità arriva dall’autopsia: Ziyed Ben Belgacem era “sotto l’influsso di alcol e droga”. Il padre, in giornata, aveva anticipato: “Mio figlio non è mai stato un terrorista”. Radicalizzato? “Non veniva nemmeno alla preghiera, beveva”.    

L’improvvisa escalation di violenza e aggressività che ha colto sabato l’assalitore della pattuglia di militari a Orly sembra essere dovuta più a una esplosiva miscela di cocaina, cannabis e alcol che non alla “radicalizzazione” che già le prime affermazioni del procuratore Francois Molins sembravano escludere.

Ziyed, delinquente comune con precedenti per furti, rapine e spaccio, era rimasto al bar di Vitry fino alle 3 del mattino, poi era stato fermato ad alta velocità e fari spenti nei pressi di casa. Lì la reazione con la pistola a pallini contro il posto di blocco, poi il succedersi di episodi di violenza fino all’assalto ad Orly, al grido di “morire per Allah”.

I risultati dell’autopsia gettano una luce nuova sui fatti, il concatenarsi di azioni, l’escalation di violenza non sono un piano preordinato, piuttosto gli effetti di uno stato di alterazione. Il padre, in mattinata, aveva detto a Europe 1, che il figlio non era mai stato un terrorista: “L’islam? Non veniva alla preghiera, beveva. Vedete quello che possono fare alcol e droga…”.    

Sul piano politico, comunque, ogni episodio che mette in discussione la sicurezza della Francia sembra giovare a Marine Le Pen, unica a non risentire negativamente delle inchieste della magistratura a suo carico.

Sabato, mentre l’aeroporto era ancora chiuso per l’aggressione ai tre militari e la reazione con l’uccisione di Belgacem, ha accusato il governo di incapacità di reagire. Nei sondaggi, però, la presidente del Front National non sembra premiata per questa politica, anzi, viene raggiunta da Emmanuel Macron, che nel suo programma non ha certo la sicurezza al primo posto. Adesso sono entrambi al 26%, un testa a testa verso il ballottaggio che sembra lo scenario più probabile a 5 settimane dal voto, anche se il rischio di un’intensificazione degli attentati apre pesanti interrogativi.

Francois Fillon, che le ultime rilevazioni danno staccatissimo dalla coppia di testa, al 17%, ha pensato bene di annunciare – dopo la raffica di inchieste a suo carico, dal Penelopegate ai vestiti regalati – un cambio di slogan della sua campagna elettorale: non più “il coraggio della verità”, che sembrerebbe una provocazione, ma “una volontà per la Francia”.

Ma è a sinistra che si sta giocando in queste ore una partita all’ultimo sangue. Il Partito socialista è in frantumi, gli elettori hanno votato alle primarie Benoit Hamon ma mezzo PS non lo sostiene, a cominciare dall’ex premier Manuel Valls, da lui sconfitto al ballottaggio: “Io traditore? – ha commentato – non è un tradimento rimanere fedele alle proprie idee”. Hamon per anni ha fatto la fronda interna contro il governo socialista, la maggior parte dei leader non glielo perdonerà.

Domenica, in un comizio a Bercy, ha provato a rilanciarsi attaccando “il partito dei quattrini, che ha troppi candidati”, e senza mai nominare i suoi bersagli, l’ex banchiere Macron e l’amico dei miliardari Fillon. Ma l’ultimo sondaggio non sembra dargli scampo, è precipitato al 12%, il livello di Jean-Luc Melenchon, il radicale di sinistra che sabato ha arringato la folla a Parigi annunciando di voler proclamare la Sesta Repubblica.

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