New York Times. Timbuctu occulta i manoscritti ai ribelli. Un’abitudine familiare

TIMBUCTU, MALI – Contro le razzie dei fondamentalisti, contro la furia iconoclasta che fa bruciare le biblioteche, abbattere le statue, radere al suolo le reliquie dei 333 santi sufi e incenerire secoli di cultura, l’unico rimedio è l’inveterata abitudine dei cittadini di Timbuctu, allenati da secoli di scorrerie, a nascondere prontamente e con consumata perizia tutto ciò che è importante custodire. Come le vecchie pergamene di manoscritti, retaggio di una cultura antichissima, la dignità e l’orgoglio di un popolo. Testi sacri, legge e filosofia islamica, ma anche medicina, botanica, astronomia, tutta la conoscenza del mondo di una civiltà profondamente colta. Lydia Polgreen, inviata del New York Times nella martoriata città appena liberata dalle truppe francesi  di Mr. Hollande, dà un volto e un nome a questi anonimi e preziosissimi “insabbiatori”, occultatori di tesori d’arte inestimabili da sottrarre al fuoco del fanatismo e dell’intolleranza.

Ali Imam Ben Essayouti non ha esitato un momento quando le milizie armate dei tuareg nazionalisti ribelli si apprestavano alle porte della città. Guida e custode di una moschea del 14 secolo sapeva che non bisognava perdere tempo. Ha pazientemente impilato gli ottomila volumi delle fragili e non rilegate pergamene dei manoscritti, li ha con cautela avvolti in sacchi di iuta prima di stiparli in diverse casse improvvisate. Poi via, verso il bunker di una destinazione ignota. “Questi manoscritti non sono solo di Timbuctu, appartengono all’umanità. E’ nostro dovere salvarli”. Torneranno quei libri, ma non subito, non ora che le armi circolano più delle auto.

Timbuctu, nel nostro immaginario, è la città remota, persa in un tempo di leggenda e nello spazio di un deserto infinito. Pochi sanno, e i manoscritti sono lì a testimoniarlo, che la città ha prosperato per secoli al crocevia delle due grandi arterie dei traffici commerciali sub-sahaariani. Qui la pista delle carovane del Sahara trasportava sale, spezie, stoffe fin dentro il dedalo dei vicoli di Timbuctu. Qui il grande fiume Niger trasportava l’oro e gli schiavi dell’Africa Occidentale. L’età dell’oro dell’Impero del Mali sepolta dai secoli.

Per Konatè Alpha, la custodia e la salvaguardia dei manoscritti è una tradizione di famiglia. Sotto la sua tutela ci sono 3 mila pergamene da generazioni. All’arrivo degli integralisti ha convocato d’urgenza un consiglio di famiglia. Le procedure di imboscamento sono note. Gli Alpha conoscono ogni angolo, ogni fessura della città in cui oi residenti hanno nei secoli nascosto il tesoro di carta. Cita un aneddoto: quando furono iniziati i lavori per estendere la proprietà di famiglia una decina di anni fa, all’interno di un muro in via di abbattimento fu trovato un fascio di manoscritti nascosti chissà quanto tempo prima. “Fecero così bene il loro lavoro che dimenticarono dove lo avevano nascosto” sorride Konatè.

Sorriso che fa venire in mente un divertente vecchio film americano girato in Italia con Anthony Quinn e Anna Magnani, “Il segreto di Santa Vittoria”. La situazione in Mali è ancora fluida, la tragedia della guerra solo ora si prende una fragile tregua, però quei maliani che corrono a nascondere i libri e il tesoro cittadino agli integralisti, ricordano quegli italiani del film alle prese con i tedeschi. I nazisti cercavano il bottino da un milione di bottiglie in vino pregiato custodito nelle cantine di Santa Vittoria d’Alba. Gli abitanti, guidati dal sindaco ubriacone e fascista pentito le studiano e inventano di tutti i colori per nascondere salvare le bottiglie. Unica differenza tra i “cattivi”:  anche il più mansueto degli islamisti non avrebbe spostato una pietra per una bottiglia di vino.

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