Trump contro Yale: discrimina i bianchi Trump contro Yale: discrimina i bianchi

Trump contro Yale per le “quote” riservate ai neri. Il governo: discrimina bianchi e asiatici

L’amministrazione Trump contro l’affirmative action nelle università americane, cioè contro la cosiddetta “discriminazione positiva”.

L’amministrazione Trump contro Yale perché consente un accesso privilegiato degli studenti neri con inevitabile discriminazione di studenti bianchi e asiatici.

Il Dipartimento di Giustizia Usa ha accusato la prestigiosa università di Yale di violare la legge sui diritti civili discriminando le domande di ammissione degli studenti asiatici e bianchi a favore di quelli afroamericani.

Viene usata la razza non come uno dei fattori, secondo quanto stabilito dalla Corte Suprema, ma come fattore predominante o determinante.

Trump contro Yale (dopo Harvard)

E’ la seconda offensiva dell’amministrazione Trump contro una università della Ivy League, dopo quella contro Harvard per una vicenda analoga.

Due anni fa l’amministrazione Trump aveva sostenuto la causa di un gruppo di studenti asiatici contro Harvard, appoggiandone il ricorso dopo la bocciatura di una Corte del Massachusets.

Ora il Dipartimento di Giustizia ha ordinato a Yale, che respinge ogni accusa, di sospendere l’uso della razza o dell’origine nazionale nel processo di ammissione per un anno.

Dopo il quale dovrà chiedere l’ok del governo per cominciare ad riutilizzare questo fattore.

In effetti il cuore del problema contingente, al di là delle diverse interpretazioni sulla discriminazione positiva, è stabilire se la razza (o certe identità etniche, di genere, sociali in contesti in cui sono minoritarie e/o sottorappresentate) sia l’unico criterio di ammissione.

Secondo Yale, il Dipartimento di Stato ha ignorato la completa documentazione fornita dall’università. Documenti e dati che avrebbero  dimostrato una policy del tutto soddisfacente i paletti imposti dalla Corte Suprema.

La razza è solo uno dei fattori, uno fra i criteri, nel pieno rispetto di una politica che mira a promuovere diversità e parità di accesso. Il Dipartimento sostiene invece che sia l’unico fattore.

Affirmative action, discriminazione positiva

Al di là delle cause in corso, se ne riparlerà al livello massimo di giurisprudenza il prossimo mese alla Corte Suprema. 

In gioco limiti e potenzialità dell’affirmative action, la ricaduta pratica di quella che un po’ confusamente chiamiamo politicamente corretto.

Come per le quote rosa, se vogliamo fare un parallelo più calzante. Per gli uni il giusto tentativo di compensare i gruppi etnici sfavoriti e discriminati.

Per gli altri l’accettazione di un principio intrinsecamente discriminatorio. (fonti Ansa, Politico.com)

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