TUNISIA – Si allontana la libertà per Amina, la ragazza tunisina comparsa giovedì davanti al tribunale di Kairouan che doveva giudicarla per avere imbrattato il muro di un cimitero e per il possesso, vietato, di una bomboletta di gas lacrimogeno. Il giudice istruttore incaricato delle indagini sulla vicenda ha infatti deciso di approfondire i fatti in causa, avanzando nuove accuse di comportamento immorale, ordinando nuove indagini e fissando l’interrogatorio della ragazza per il prossimo 5 giugno, data che la giovane attivista di Femen dovrà attendere in stato di detenzione.
Questo epilogo, assolutamente inatteso, ha suggellato una giornata ad altissima tensione per un processo che doveva risolversi in poche e scontate battute e che invece ora per Amina si è parecchio complicato perché la riapertura delle indagini non lascia molto spazio all’ottimismo. La giornata, sin dalle prime battute, è stata molto tesa, con Amina ad aspettare il verdetto, dopo undici giorni di detenzione preventiva, scattata il 19 maggio scorso quando era andata a Kairouan per lanciare la sua sfida all’islam intransigente dei salafiti.
Una ragazza che, al di là degli atteggiamenti spavaldi, ripetuti anche quando ha parlato di un processo politico, è stata difesa, ancora nelle ultime ore, dai suoi familiari che parlano di enormi problemi psichiatrici. L’udienza di giovedì si è svolta in un clima elettrico, provocato dalle proteste che, all’esterno del blindatissimo Palazzo di giustizia, sono state alimentate dai salafiti di Ansar al Sharia, inferociti per il fatto che il tribunale aveva respinto, ritenendola non sufficientemente motivata, la loro istanza per potersi costituire parte civile.
I salafiti, infatti, si ritengono il vero obiettivo della protesta della ragazza che, recandosi a Kairouan nelle ore in cui avrebbe dovuto tenersi il raduno nazionale di Ansar al Sharia (peraltro vietato dal Ministero dell’Interno), voleva lanciare loro una sfida. I salafiti non si sono limitati a vociare, ma hanno anche pesantemente insultato i componenti del collegio di difesa della ragazza i quali, vedendosi minacciati, hanno minacciato di disertare il processo in segno di protesta, chiedendo l’incriminazione di chi aveva tentato di intimidirli.
I salafiti, peraltro, avrebbero voluto presenziare al procedimento, richiesta quest’ultima che ha avuto lo stesso esito della istanza di costituzione di parte civile e che ha visto il rude intervento della polizia, che era stata dispiegata all’esterno e dentro il tribunale in gran numero e che ha fatto da barriera umana davanti all’aula. Si chiude così il primo capitolo di una vicenda per la quale Amina è finita davanti al tribunale più che i suoi gesti (avere imbrattato con la scritta ”Femen” il cimintero di Karouan, oltre ad essere stata trovata in possesso della bomboletta di gas lacrimogeno, per cui comunque rischiava sino a due anni e mezzo di reclusione), per il valore simbolico che aveva intenzione di dare alla sua protesta.