Turchia, i manifestanti: “Violenze sessuali nelle caserme”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Giugno 2013 - 14:15 OLTRE 6 MESI FA
Turchia, i manifestanti: "Violenze sessuali nelle caserme"

Gli scontri a Istanbul (Foto Lapresse)

ISTANBUL – “Ti sbatto a terra e ti violento”, “Ora vado a stuprare quella cristiana di tua madre”: anche nella guerriglia che sta devastando le belle città della Turchia arriva la minaccia della violenza sessuale. Da parte della polizia, secondo alcune testimonianze raccolte dal quotidiano turco online Hurriyet e riportata dal Corriere della Sera.

“Alle nove di sera eri a Besiktas, ha raccontato uno studente, Erkan Yolalan, al giornale. Non facevo niente, non gridavo slogan, non buttavo pietre. Appena mi hanno visto mi hanno preso. E sono scivolato nell’inferno. Ogni poliziotto ha iniziato a prendermi a calci e pugni. Per 150 metri, fino al bus della polizia, tutti mi hanno picchiato, maledetto, insultato. Non finivano mai. Dentro il furgone le luci erano spente. Ho sentito la voce di una ragazza che supplicava: ‘Non ho fatto nulla, signore’, ma loro la picchiavano e lei pareva soffocare. Poi un agente in borghese le ha detto esattamente questo: ‘Ti sbatto per terra e ti violento, ora’. La risposta della ragazza, con un filo di voce, ci ha spezzato il cuore: Sì, signore”.

“Dopo ci hanno costretto, con altri arrestati, a gridare, tra una pioggia di botte: ‘Amo la polizia! Amo il mio paese!’ Urlavano: ‘Più forte, più forte!’, ci picchiavano, ci insultavano. Poi è arrivato un altro giovane. Mustafa, dell’Università del Bosforo. Era stato attaccato da venti agenti. Non si reggeva in piedi. Nel bus lo hanno ancora colpito alla testa con un casco. Non bastava. Gli hanno sbattuto il capo contro il finestrino. Perdeva sangue dalla testa. Era ammanettato. Hanno continuato a picchiarlo”.

Erkan e gli altri sono stati poi portati al commissariato. Saranno difesi dagli avvocati chiamati dagli altri manifestanti. Ma il timore è che siano solo la punta dell’iceberg di molti casi simili non denunciati per paura di ritorsioni.