Usa: il deficit americano e il futuro della superpotenza

Quanto a lungo il più grande debitore del mondo può restare la maggiore potenza del mondo? La domanda che pone Lawrence Summers, consigliere economico di Barack Obama, contiene in sé l’interrogativo che grava sul futuro della superpotenza americana.

Il potere economico, congiuntamente a quello militare, è il fattore che in ogni epoca ha permesso ad una singola nazione di affermare la propria supremazia. Così è stato per i romani nell’antichità come per gli inglesi nel diciannovesimo secolo. Così pure per gli Stati Uniti dal dopoguerra in poi.

In questo contesto, la lucida domanda di Summers interroga il futuro ruolo degli Stati Uniti nell’assetto mondiale. La politica americana è oggi costretta a cimentarsi con un elemento con cui raramente si è dovuta confrontare: il crescente deficit pubblico.

Un riscontro immediato viene dal comportamento dei cinesi, che sono i maggiori sottoscrittori del debito pubblico americano e che, puntualmente, lo hanno ricordato, anche se non in modo esplicito, chiedendo a Obama di non incontrare il Dalai Lama.

Certo, in altri momenti della sua storia Washington ha dovuto affrontare le casse vuote della finanza pubblica e i prestiti per risarcire i debiti contratti. Fino ad oggi però queste situazioni erano sempre coincise con i periodi bellici. Le difficoltà erano grandi ma si sapeva che la situazione era congiunturale. Si sapeva, cioè, che dopo la tempesta sarebbe tornato il sereno.

Oggi non è più così e la criticità sembra strutturale. Al punto che nel futuro prossimo la produttività, secondo gli specialisti, non compenserà il debito. Infatti, ai pronostici (moderatamente) positivi per la produzione degli anni a venire non corrispondono stime ugualmente positive per la riduzione del debito. Secondo le previsioni di Obama, per altro improntate all’ottimismo, il deficit americano continuerà ad aumentare anche dopo il 2020.

Quale sarà la ricaduta del dato economico sulla sfera della politica internazionale? Considerata la complessità della questione e l’inaffidabilità delle stime di lungo periodo, la risposta rientra nel dominio dell’arte divinatoria. Certo però che se il buco di bilancio diventasse una voragine questo equivarrebbe senza dubbio ad una riduzione del potere e dell’influenza americani. In questo senso l’esperienza del Giappone insegna. Mano a mano che il debito pubblico si è gonfiato negli scorsi due decenni, l’autorevolezza giapponese nel Pacifico e nel mondo è radicalmente scemata.

Ovviamente la preoccupazione per l’andamento della finanza americana non è solo una faccenda di politica interna. Se c’è un debito, significa che c’è un creditore, e nel caso di Washington il principale creditore si chiama Pechino. Recentemente diplomatici cinesi hanno rivolto alla Casa Bianca precise domande sulla gestione del budget. Un gesto che mostra tutta la pertinenza della domanda di Summers.

Appare dunque evidente che gli Stati Uniti si trovano di fronte ad un bivio. Le scelte che verranno prese in questi anni determineranno il loro futuro. Sempre più pressante è la necessità di una riforma che, cambiando strutturalmente il sistema finanziario, inverta quella tendenza al debito che può, nel lungo termine, condurre al declassamento degli Stati Uniti al rango di comparsa nello scacchiere globale.

Fino al termine del suo ultimo mandato George W. Bush affermava che avrebbe lasciato l’incarico con un bilancio pubblico positivo. Sappiamo che così non è andata. I costi di due guerre complesse e distanti, e la generosa riduzione delle tasse per le imprese e per i benestanti hanno svuotato le casse dello stato.

Con Barack Obama quello che è già cambiato nella gestione del problema deficit è sicuramente la sua percezione. Davanti alle reclute di West Point il presidente ha affermato che la prosperità degli Stati Uniti fornisce la base del loro potere. Un modo come un altro per dire che i soldi dello stato, piuttosto che finire in guerre costose e imprevedibili, devono servire a garantire il futuro di potenza degli Stati Uniti. Un futuro che nella congiuntura attuale non sembra più scontato.

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