Variante Deltacron potrebbe essere un errore di analisi di laboratorio, lo affermano numerosi ricercatori

La cosiddettavariante Deltacron’, la versione del virus SARS-CoV-2 frutto di un’ibridazione della variante Omicron con quella Delta che è balzata agli onori delle cronache negli ultimi giorni, potrebbe essere in realtà il frutto di un semplice artefatto, un errore di analisi di laboratorio.

Variante Deltacron, i sospetti della comunità scientifica

È questo il sospetto che con sempre con più insistenza circola nella comunità scientifica.

“È pressoché certo che una variante ibrida tra Delta e Omicron si possa generare perché fenomeni di ricombinazione sono ben note e sono già state osservate, per esempio, tra la variante Alfa e quella Delta. Nel caso specifico, però, le 24 sequenze depositate dai ricercatori ciprioti sono state state analizzate abbastanza nel dettaglio da diversi gruppi di ricerca che concordano con il fatto che con ogni probabilità si tratta di un artefatto”, spiega all’ANSA Marco Gerdol, ricercatore all’Università di Trieste.

Variante Deltacron, le obiezioni cipriote non convincono i ricercatori

Nella notte Leonidos Kostrikis, a capo del laboratorio di Biotecnologia e Virologia molecolare dell’università di Cipro, in un’intervista a Bloomberg ha ribadito la correttezza dei loro dati, sostenendo che l’errore è improbabile dal momento che i genomi sono stati analizzati in diverse procedure e in più di un paese; inoltre è stata riscontrata almeno una sequenza provenienti da Israele con le caratteristiche di ‘Deltacron’.

Le obiezioni cipriote però non convincono i ricercatori: “Se andassimo ad analizzare tutti i genomi potremmo trovare migliaia di casi apparentemente ibridi. Alcuni studi fatti in passato hanno però rilevato che solo il 30% delle sequenze che sembrano ibride lo sono realmente. Il più delle volte si tratta di semplici errori di sequenziamento, che non sono rari nel momento in cui diverse decine di campioni vengono analizzate in parallelo. Inoltre, sappiamo da tempo che alcune regioni genomiche sono più sensibili a questi tipi di contaminazioni e sono proprio quelle interessate da queste 24 sequenze”, aggiunge il ricercatore.

“Al momento, quindi, non c’è preoccupazione. Inoltre, qualora si verificasse una ricombinazione tra Delta e Omicron, non c’è nessun motivo di ritenere a priori che la nuova ipotetica variante debba prendere il ‘peggio’ delle due, cioè la maggiore virulenza di Delta e la più alta trasmissibilità di Omicron”, conclude Gerdol.  

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