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Cronaca

Accoltellatrice a 12 anni e killer a 17, le colpe dei genitori e la responsabilità della scuola

A dodici anni (insistiamo dodici) si può dare una coltellata ad un compagno perché ha fatto la spia, servendosi del cellulare per fare un compito? Se tu lo avessi raccontato qualche tempo fa (non molto) non avresti creduto a chi ti confessava questo episodio. Invece, è accaduto in una scuola di Marino, alle porte di Roma, pochi minuti prima che i due ragazzini entrassero in classe. “Guardi come mi ha conciato”, ha detto lui all’insegnante. Lei è praticamente scomparsa, forse pensando con orrore a quel che aveva fatto. Che cosa sta succedendo a questi minorenni di oggi? Se andiamo a scorrere i giornali delle ultime settimane ci si accappona la pelle.

Da Marino al Vesuvio coltello in azione

Accoltellatrice a 12 anni e killer a 17, le colpe dei genitori e la responsabilità della scuola (Foto Ansa) – Blitz Quotidiano

C’è un diciassettenne che uccide un compagno che ne ha diciannove, risse continue fra bande che si combattono per motivi magari banali. Insomma, un panorama che raccapriccia e su cui non possiamo far finta di niente. Si legge il fatto sui giornali, si vede la notizia in tv: c’è sconcerto, ma ventiquattrore dopo la storia finisce nel dimenticatoio. Al contrario, bisogna interrogarsi e capire perché avvengano simili episodi. Se torniamo indietro negli anni queste ci sembrano storie surreali. A dodici anni come passavano le giornate quei ragazzi? Personalmente, frequentavo le medie, portavo i calzoni corti, perché quelli lunghi avrei potuto indossarli probabilmente al liceo. Non avremmo mai immaginato una storia come quella avvenuta nella scuola Vivaldi di Marino.

Educazione cambiata

Allora, di chi sono le responsabilità? Come mai si ripetono fatti di questo genere, di una gravità assoluta se diamo un’occhiata agli anni dei protagonisti? Al primo posto, si dovrebbe mettere l’educazione cambiata notevolmente. Una volta i genitori erano più rigidi, più intransigenti e se un ragazzino o un ragazzo si comportavano male, scattava immediatamentela punizione. Una volta che marinai la scuola per non essere interrogato fui scoperto dai miei genitori e per un mese rimasi in casa e uscivo solo per andare al Convitto Nazionale, il mio istituto. Oggi, invece, (mi scuseranno i padri e le madri di questi tempi) si cerca sempre una giustificazione, una scusa per dare ragione al figlio.

Ora che è tornato il voto in condotta per cui se prendi meno della sufficienza ripeti l’anno scolastico, si è gridato allo scandalo, si è detto che la scuola non rispettava lo scorrere del tempo. Perché mai? L’educazione ha forse confini diversi? Se non sai la lezione e prendi un bel quattro è colpa del professore? O se addirittura qualche alunno si permette di insultare il docente ha una diversità se si commette ieri o oggi? La verità è che la fretta può essere un indizio di questo stato di cose. In una famiglia spesso marito e moglie lavorano tutto il giorno ed hanno poco tempo da trascorrere con i figli. Inoltre, quando si arriva a casa stanchi morti, non si ha la forza di verificare se sono stati fatti i compiti o se, al contrario, si è passata la giornata giocando a pallone o andando in giro con gli amici.

D’altronde, i due “lavori” sono fondamentali se si vuole arrivare alla fine del mese per mettere insieme il pranzo con la cena. Ecco la ragione per la quale la scuola dovrebbe essere una parte importante dell’educazione di un figlio. Dovrebbe rappresentare un binomio che non dovrebbe mai venir meno. Per cui, se l’alunno in classe è indisciplinato oppure è sempre impreparato l’asse con i genitori dovrebbe essere costante, non “una tantum”. Tutto questo può essere un deterrente per impedire che si ripetano fatti come quelli di Marino o di San Sebastiano al Vesuvio? Certamente no, non si vuole essere così “antichi” per capire che i tempi sono cambiati e che non si può guardare soltanto al passato. Però, crediamo in tutta sincerità che seguire un figlio può essere a volte una grande “fatica”, ma indispensabile per riportarlo sulla retta via, sia pure se al primo sgarro.

Bruno Tucci

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