Che la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sia molto probabilmente una iniziativa inutile l’ho già scritto e ripetuto anche a voce. La commissione purtroppo è nata per la suggestione esercitata soprattutto sui parlamentari Roberto Morassut e Carlo Calenda dalla miniserie televisiva Vatican Girl.
Miniserie trasmessa nell’ottobre di due anni fa e che tra l’altro ha purtroppo preso sul serio anche i racconti di chi ha molto contribuito a trasformare la tragedia della scomparsa di Emanuela in chiacchiericcio sensazionalista e conseguente show dalle infinite puntate. Eppure Pietro Orlandi s’è detto arci sicuro che “”Il Vaticano ha paura di questa serie”.
Il mio scetticismo era – ed è – basato anche su altro: su un fatto ben preciso capitato a me con un’altra Commissione parlamentare, la seconda che si è occupata della tragica vicenda di Aldo Moro.
Lo scorso 10 ottobre quando sono stato audito dalla Commissione Orlandi-Gregori tra le prime cose che ho detto c’è stato un cenno di speranza che quanto avrei esposto a voce e ho consegnato per iscritto e in file sonori al presidente Andrea De Priamo non facesse la stessa fine di quanto capitato con la citata Commissione Moro.
Un episodio, quest’ultimo, del quale ho già scritto oltre che nei miei libri anche su blitzquotidiano.it. E che il 10 ottobre ho riportato per intero con le seguenti parole:
“Vengo qui con un leggero peso negativo, una delusione subita, perché, nella seconda Commissione Moro, il magistrato Franco Ionta ha depositato una mia deposizione come testimone. Io avevo scritto un libro, Tangenti in confessionale, dove, spacciandomi per un onorevole che prendeva tangenti, mi sono confessato anche nella chiesa del Gesù in piazza del Gesù, perché lì andava Andreotti a messa ogni mattina quando era a Roma. Ho scelto una quarantina di chiese italiane con dei criteri di questo tipo”.
Il precedente della commissione Moro
Il libro in questione l’ho pubblicato nel 1993, a ridosso del grande scandalo politico giudiziario noto come Tangentopoli perché la magistratura scoprì quello che tutti sapevano: vale a dire, che politici e partiti incassavano come prassi usuale tangenti dal mondo imprenditoriale. E noto anche come Mani Pulite per l’opera di pulizia fatta dalla magistratura con vari processi uno più clamoroso dell’altro. Opera giudiziaria che ha posto fine all’esistenza dei partiti storici esistenti dalla nascita della repubblica italiana nel dopoguerra, tant’è che si usa dire che così è finita la prima repubblica ed è iniziata la seconda, quella attuale.
Poi ho continuato la mia audizione con le seguenti parole, che spiegano bene sia la delusione pregressa che il mio attuale ulteriore scetticismo:
“Un confessore, nel primo confessionale a destra entrando in chiesa del Gesù, mi ha detto che lui quando insegnava aveva avuto un alunno poi arruolatosi in Polizia. Un giorno, piuttosto schifato, questi era andato da lui a dirgli: “Padre, mi dimetto dalla Polizia. Stavamo andando a liberare Moro, quando abbiamo ricevuto l’ordine di tornare indietro. Eravamo arrivati a un isolato di distanza e abbiamo ricevuto l’ordine di tornare indietro”.
Tra l’altro, questo confessore aveva anche specificato che il suo ex alunno diventato poliziotto era tornato a lavorare nella falegnameria del padre. Quanti poliziotti dimessisi dopo il sequestro Moro avevano un padre con una falegnameria? Perché non andare a cercare questo signore e chiedergli: che è successo quel giorno? Chi è che ha dato l’ordine di tornare indietro? Ci siete andati davvero o lei se l’è inventato? Ciò avrebbe potuto chiarire un mistero notevole della storia italiana.
Ionta ha consegnato la deposizione e, nel consegnarla, è stato onesto, perché quando lui mi ha convocato la prima volta io gli ho detto: non posso fare il nome del confessore, perché ho il segreto professionale. Lui si è molto arrabbiato e ha minacciato sfracelli, denunce, arresto. Io gli ho detto che le minacce con me non attaccavano.
Invece, se mi lasciava tornare a Milano, io mi sarei fatto autorizzare dall’Ordine dei giornalisti a non essere più obbligato al segreto professionale per quella storia. Infatti, sono tornato e gli ho dato anche la registrazione della conversazione con il confessore. Il testo lui lo ha dato alla Commissione Moro, ma non è successo nulla”.
Non è successo nulla e so per certo che almeno alcuni consulenti di quella commissione non hanno mai neppure saputo che Ionta avesse consegnato quel documento, potenzialmente prezioso, se non esplosivo. Speriamo che questa volta vada meglio.
Post scriptum sulla Commissione Orlandi
Prendo atto che Pietro Orlandi con le solite affermazioni diffamatorie nei miei confronti ci ha tenuto a dichiarare anche a TAG24, quotidiano online dell’Ateneo romano Niccolò Cusano, di ritenere inutile e anzi dannoso, fuorviante, che la Commissione avesse deciso di convocarmi.
E prendo atto del fatto che nessuno degli zelanti intervistatori gli ha chiesto di fare un esempio, di citare almeno un episodio del da lui asserito mio “vivere da 25 anni insinuando, dicendo falsità, inventando”. Che un organo di informazione si vanti di essere “rivolto alla comunità accademica e non solo” e si comporti in questo modo è chiaramente molto poco serio, anzi è decisamente squalificante.
Quelli espressi a mio danno a TAG24 sono concetti sui quali Pietro Orlandi insiste dal 2012 e ha molto insistito anche di recente in più occasioni. Sempre senza che nessuno degli intervistatori si sia sentito in dovere di ascoltare anche la mia campana, preferendo invece limitarsi a fare da megafono a insulti e ad accuse prive di qualunque base, ma rumorose.
Finora non ho querelato Pietro Orlandi per diffamazione (continuata e aggravata) solo per non dare un dispiacere alla sua anziana madre, già provata dalla scomparsa di una figlia e da 41 anni di false speranze e volgari inganni, peraltro alimentati anche dal figlio.
Questo modo di fare, che io chiamo malogiornalismo, spiega bene perché e come la tragedia della scomparsa di una ragazza, Emanuela, sia stata trasformata in show. Da una parte si insiste da anni e anni a lanciare piste tanto clamorose quanto immancabilmente false, si insiste a fare da megafono ad affermazioni gravi, indimostrate e indimostrabili, ma clamorose, anche contro tre Papi (Wojtyla, Ratzinger e l’attuale Bergoglio), contro magistrati italiani e vaticani colpevoli di cercare prove e non farfalle sotto l’arco di Tito, e contro chiunque non accusi il Vaticano.
Da un’altra parte si insiste a non prendersi mai la briga di verificare se le accuse sono fondate o inventate. Si preferisce invece, da ormai più di 40 anni, prendere immancabilmente per oro colato le “rivelazioni” di turno della sfilza di “supertestimoni” uno più falso dell’altro, e le “rivelazioni”, spesso tra loro contradditorie e inconciliabili, dello stesso Pietro. Ormai asceso a personaggio ambito dal mondo dello spettacolo.
Tutto ciò però DIMOSTRA che a interessare NON è la ricerca della verità, NON è riuscire a sapere che fine ha fatto Emanuela e per mano di chi, ma solo il fare clamore. Per mandare avanti lo show.