A Genova i geni, quelli della genetica, non si smentiscono mai e la Storia non dimentica: principi e marchesi scatenati, tra finanziamenti, ricostruzioni e rivalità.
Con una differenza rispetto al passato glorioso di Andrea Doria. Nei secoli dopo il mille, i grandi genovesi dominavano il Mediterraneo, installavano colonie fin sulle sponde del Mar Nero, assaltavano Marsiglia e Barcellona per mettere in ginocchio pericolose rivali.
Oggi fanno gli albergatori e litigano per un box auto sotterraneo. Segno di una decadenza sancita due secoli fa dal piemontese-nizzardo Massena. Francesco Petrarca, che la battezzò Superba, oggi si rivolta nella tomba.
In un momento di svolta da città industriale e portuale a grande attrazione del turismo culturale e non solo, Genova, la “Superba”, scopre ancora dopo secoli il sangue blu che le scorre nelle vene e che ha segnato i secoli d’oro della sua lunga storia.
Chi scende in campo in questo momento decisivo lo fa un po’ a sorpresa, un po’ per generosità, un po’ per rispetto della propria ascendenza. E un po’ anche con l’acume classico dello spirito genovese, capace sempre, in secula seculorum, di intuire gli affari, con quello che oggi si chiama senso del business.
E così ecco che quasi in una singolare tenzone nel centro ombelicale di Genova, tra la mitica strada dei Rolli, la via Aurea e la vicina piazza Fontane Marose, tra un palazzo del Cinquecento e l’incantevole sua dimora, il principe Domenico Pallavicino sfida il marchese Carlo Clavarino, grande business man.
Lo fa aprendo i propri palazzi, un tempo quasi segreti, mettendo in campo una Fondazione dove spicca l’immancabile Vittorio Sgarbi, che organizza mostre, eventi, incontri finalizzati a “aprire” alla città, ma non solo, a un patrimonio storico, racchiuso negli scrigni dei suoi fino a ieri riservati possedimenti.
E Clavarino, che è anche un broker mondiale di assicurazione, presidente di Aon la leader planetaria del settore, console di Norvegia a Milano, risponde prima con una delicata operazione immobiliare nella trasformazione di uno dei palazzi mitici di via Garibaldi, “Palazzo Spinola”, da lui acquistato nei piani nobili, in una residenza di lusso di incomparabile bellezza con soffitti di quattordici metri e affreschi di Rubens.
E poi nella partecipazione a un’ altra nuova Fondazione, la “Friends of Genoa”, finalizzata a lanciare la città sul grande mercato turistico – culturale, con consistenti investimenti, mirati al recupero e al rilancio dello storico patrimonio cittadino, partendo dai gioielli più pregiati.
Finanziando borse di studio. Intervenendo con l’organizzazione di eventi, puntando a operazione impegnative come l’illuminazione del Palazzo Rosso, ex dimora della Duchessa di Galliera. E al rilancio del museo Davide Chiossone, per la rara bellezza dell’arte giapponese, chiusa in uno dei giardini segreti di Genova, Villetta di Negro.
A questa vera e propria missione dei “Friends” partecipano grandi personaggi non solo genovesi, molti di magnanimi lombi, altri di grandi capacità finanziarie. Tra questi Carlo Perrone, vice presidente Gedi, già editore de “Il Secolo XIX”, figlio di Alessandro, direttore del Messaggero e erede della famiglia che possedeva l’Ansaldo, e della marchesa di Noailles, che abitava a Parigi nel castello della Pompadour.
Paolo Clerici, figlio di Jack, uno degli inventori del traffico con l’Urss, imprenditore marittimo e non solo, sostenitore del nuovo Museo del Mare genovese. Teresa Raggi De Marini, Carlo Puri Negri, figlio di Ambrogio Puri, che fu anche leader di Ansaldo, Italimpianti, Italsider, grande tecnocrate, e lui stesso imprenditore, già vicinissimo di Marco Tronchetti Provera e immobiliarista di rango.
Pietro Salini, l’imprenditore di “WeBuild”, che sta ricostruendo non solo Genova, ma l’Italia, dopo il nuovo ponte Morandi, il tunnel subportuale, la nuova diga genovese e, si dice, perfino il ponte sullo Stretto.
Emanuela Brignone Cattaneo Adorno, raffinata architetta, moglie di Giacomo, a Genova “il marchese”, che racchiude una storia profonda di più famiglie storiche, Cattaneo Adorno, Durazzo, Giustiniani, ed è un grande imprenditore in Italia, a Genova.
Ma anche in Brasile. I cui avi erano padroni di castelli, terreni, palazzi in molti Paesi, in particolare anche in Spagna. Fino alla leggenda che racconta di un loro coinvolgimento anche nella Alhambra di Granada, una delle sette meraviglie del mondo, poi ceduta al re di Spagna.
La discesa in campo di questa formazione eccezionale tra grandi famiglie storiche, big dell’imprenditoria e delle grandi intermediazioni finanziarie, poggia sul principio che Genova oggi è appetibile come la più bella delle città sconosciute al mondo e debba essere riscoperta per “esplodere”.
Oggi la ex Superba diventa, secondo i “Friends of Genoa”, finalmente raggiungibile, grazie alle nuove opere pubbliche che sono in costruzione, o in conclusione di lavori, come il Terzo Valico, collegamento chiave con la Padania e l’Europa del Nord e quindi “deve” essere totalmente rilanciata.
Ogni sforzo viene compiuto dalla squadra cosi altolocata, ma sicuramente il più spettacolare, dopo le aperture di Clavarino e Pallavicino, marchese e principe, è quello della famiglia Cattaneo Adorno, della quale per vedere uno dei ricchi palazzi genovesi e annessa mirabolante quadreria, giunse a Genova, nel 1980, niente meno che la Regina Elisabetta d’Inghilterra con il principe Filippo.
Con una operazione nel ventre profondo di Genova i Cattaneo hanno ristrutturato il loro palazzo Durazzo, gioiello del diciassettesimo secolo e lo hanno trasformato, con sette anni di lavori, in “Durazzo Suites”, un albergo straordinario che si è subito meritato le cinque stelle e che è stato seguito muro per muro, affresco per affresco, arredo per arredo, proprio da Emanuela Brignone Cattaneo, la moglie del marchese e da Cesare Barro, che hanno ricostruito un percorso storico nelle dodici suites, dal prezzo che va da 500 a 1300 euro a notte, un superlusso piazzato in un punto nevralgico di Genova.
Questa gemma dell’accoglienza sta in via del Campo, un caruggio cantato e calcato a lungo da Fabrizio de Andrè, centro storico duro e puro, con affaccio e apertura verso il Porto antico e la sfrecciante strada Sopraelevata.
In via del Campo, tanto per dimostrare l’etnicità della strada (e della sfida) ci sono oggi sette macellai di etnie diverse e dodici parrucchieri etnicamente diversi uno dall’altro per soddisfare una clientela da torre di Babele.
E in mezzo c’è questo gioiello di pura storia genovese, che ha subito sfondato dopo la sua inaugurazione del giugno scorso, riempiendo le suites di una clientela che Genova fino a poco tempo fa si sognava.
Sfidare quel luogo, aprendo un superhotel, che la stampa Usa ha già definito uno dei più belli del mondo, è proprio l’azione simbolo dei genovesi “storici” che riprendono un loro ruolo qualche secolo dopo .
E in questo caso c’è anche la scommessa di un’operazione kolossal: l’abbattimento della Sopraelevata nella parte che fronteggia i palazzi come quello Durazzo, una sfilata unica al mondo e in fronte al porto antico, ma che dal 1965 è tagliata fuori proprio dalla strada Sopraelevata, costruita per salvare Genova dal traffico.
Il progetto di demolirne una parte si collega a una delle grandi opere pubbliche già finanziate in parte: il tunnel subportuale che devierebbe il traffico in questa galleria di sei chilometri, 40 metri sotto il fondale delle banchine genovesi.
Da Pallavicino a Cattaneo Adorno e a tutti i supertitolati “Friends of Genoa”, tra principi, marchesi e grandi della finanza, dell’imprenditoria e della storia zeneise, è così tutto un esplodere di iniziative, con qualche inevitabile scintilla, viste le tradizioni di contrasti nobiliari nella antica e potentissima Repubblica di Genova.
La scintilla più apparente è stata quella di una contesa anche giudiziaria tra Pallavicino, il principe e Clavarino, che con un’abile operazione è riuscito a farsi costruire una ventina di box sotterranei in piazza Portello, a pochi metri dalla sua residenza così preziosa, grazie a un accordo tra il Comune del sindaco Marco Bucci e il costruttore e protagonista della vita genovese Davide Viziano, anche lui importante esponente dell’ establishment classico, di nobile schiatta imprenditoriale, anche se non di sangue blù.
Quei venti box avrebbero almeno in parte fatto gola anche al principe Pallavicino per i suoi palazzi distanti poche decine di metri. Ma se li è presi tutti Clavarino. Un pizzico di polemica all’operazione l’ha inevitabilmente aggiunto Vittorio Sgarbi, superconsulente di Pallavicino, che ha censurato il piccolo edificio costruito sopra i box per ospitare l’ascensore, dal sottosegretario alla Cultura definito “Quell’orrido cubotto”.
Si è così aperto un concorso di idee per nobilitare il cemento rozzo con decorazioni e inserti all’altezza dei palazzi che circondano la piazza. Comunque su questo cemento nobilitato sventola la bandiera di una nobile riscossa che forse Genova non si aspettava.
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