Alberto Scagni è seminfermo ma ha premeditato l’omicidio di sua sorella Alice, massacrata con 19 coltellate sotto casa il primo maggio 2022 a Quinto in provincia di Genova. E’ quanto hanno stabilito i giudici della corte d’assise d’appello di Genova che hanno confermato la condanna di primo grado a 24 anni e sei mesi. Questo il commento della madre Antonella Zarri all’uscita dell’aula: “Alberto deve essere curato, invece lo mettono in carcere e poi quando sarà vecchio in una Rems (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, ndr)”.
Il sostituto procuratore generale Ezio Castaldi aveva chiesto l’ergastolo mentre i suoi difensori, gli avvocati Alberto Caselli Lapeschi e Mirko Bettoli, avevano ribadito la necessità delle cure anticipando il ricovero in Rems prima dell’espiazione della pena. A inizio udienza il sostituto pg aveva spiegato che Scagni ha “sì problemi mentali che impediscono normali rapporti con il mondo che lo circonda, ma era perfettamente in grado di capire cosa stesse facendo quella sera”. Alle richieste del procuratore si è associato anche l’avvocato Andrea Vernazza che assiste il marito di Alice, Gianluca Calzona. “Siamo moderatamente soddisfatti – hanno detto i legali di Scagni – e aspettiamo le motivazioni”. Il giorno del delitto Scagni minacciò i familiari perché voleva dei soldi. In poche settimane aveva sperperato 15 mila euro del suo fondo pensione. “Fra cinque minuti io controllo il conto, se non ho i soldi stasera tua figlia e Gianluca (il marito, ndr) sai dove sono? lo sai dove c… sono?” disse ai genitori. Una telefonata terribile che annunciava l’omicidio compiuto poco dopo. L’uomo dopo la chiamata andò sotto casa della sorella Alice e la aspettò per diverse ore. Ma prima del delitto il padre chiamò la centrale operativa della Polizia segnalando il pericolo. Gli agenti risposero di rimanere in casa e richiamare nel caso il figlio si fosse presentato da loro e di fare una denuncia.
Dopo l’omicidio i genitori avevano presentato un esposto, tramite l’avvocato Fabio Anselmo, contro due agenti della centrale e la dottoressa della Salute mentale della Asl3 perché secondo loro erano stati sottovalutati gli allarmi e le richieste di aiuto. Nei giorni precedenti il delitto i parenti avevano segnalato alla questura come il figlio si stesse facendo sempre più aggressivo. Per quel fascicolo, per cui erano indagati due agenti e la dottoressa della salute mentale, il giudice Carla Pastorini ha accolto la richiesta di archiviazione. Per il giudice quello “fu un delitto imprevedibile e l’invio di una volante non avrebbe potuto impedirlo”. E’ però vero che “la dottoressa non è rimasta inerte, rifiutando di compiere un atto del suo ufficio, ma ha provveduto in maniera non corretta”.
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