Hanno acconsentito al taglio di un argine, hanno visto i loro campi sommersi, le loro aziende agricole distrutte: è così che gli agricoltori di Ravenna e provincia hanno salvato dall’alluvione il centro storico della città, scrigno di tesori inestimabili dell’antica capitale bizantina, con monumenti Patrimonio Unesco.
“Non potevamo tirarci indietro se, per un drammatico scontro tra acqua e terra, Ravenna era a un passo dall’essere sommersa”, racconta a La Repubblica Lino Bacchilega, direttore della coop locale di agricoltori Cab Ter.Ra. “Il questore Castrese De Rosa – aggiunge – ci ha chiesto il permesso di tagliare l’argine e di allagare i terreni dei nostri 70 soci per alleggerire la pressione dell’acqua e tentare di salvare il salvabile. Ci siamo guardati negli occhi, ma sapevamo già che un rifiuto sarebbe stato una vergogna imperdonabile”.
Sacrificare i campi per salvare Ravenna. “Al primo posto l’interesse collettivo: ciò significa essere cittadini normali, non eroi – continua Bacchilega a La Repubblica. – Ogni contadino conosce le conseguenze di perdere i raccolti e di devastare la terra per anni. Veniamo da una siccità gravissima, dalle grandinate e da due alluvioni in due settimane. Ci vorrà molto tempo per tornare a rendere coltivabili i fondi trasformati in una palude”.
Un sacrificio che costerà moltissimo. “Solo per i raccolti dell’anno, in media, 2mila euro a ettaro. Il totale supera 1,3 milioni, senza contare i costi per sistemare i terreni nei prossimi anni”, risponde. Nei soci della coop agricoltori “ho colto paura, tristezza, preoccupazione: ma soprattutto orgoglio per aver non tradito i nostri valori”, sottolinea Bacchilega. Sott’acqua e fango sono finite colture di grano, bieta da seme, mais ed erba medica. “Può essere che solo l’erba resista, ma senza idrovore l’acqua stagnerà per settimane e il fango riversato dai fiumi formerà una crosta dura come cemento”, precisa.
Sono almeno centomila ettari alluvionati nelle oltre 3mila aziende agricole a Ravenna. “Una quantità biblica”, commenta Assuero Zampini, direttore di Coldiretti Ravenna. “Ora intorno a Ravenna è tutta acqua, al momento resta fuori solo la città e neanche tutta”. Sono anche saltati gli acquedotti, spiega, e dove non ci sono campi alluvionati, le aziende hanno bisogno di mangime e acqua potabile per abbeverare gli animali. “A Ravenna facciamo i conti con la seconda alluvione e questo – precisa Zampini – è un colpo mortale per un territorio coltivato ad albicocche, pesche, susine, pere, mele e ciliegie. Dopo 15 giorni sott’acqua le piante sono destinate a morire e sarà un’impresa titanica ripiantarle considerando che per rifare un ettaro di frutteto servono 50mila euro. Senza contare il disastro sulle sementi, circa 6mila ettari, di cui Ravenna è un distretto importante per tutta Italia e anche per l’Europa per barbabietole, cicoria, carote e cavoli. Speriamo che i vigneti possano resistere”.
Confagricoltura Emilia-Romagna parla di danni fino a 6.000 euro a ettaro per i seminativi (grano, orzo, mais, soia, girasole, erba medica, orticole e colture da seme) e 32.000 euro a ettaro per frutteti, vigneti e oliveti, inclusi raccolti persi e costo dei reimpianti. Il calcolo non comprende però le ripercussioni su scorte, strutture, macchinari e neanche le anticipazioni di liquidità finalizzate a far ripartire l’attività. Le operazioni colturali, segnala inoltre la confederazione agricola, sono sospese, in un momento cruciale dell’annata agraria, pure i trattamenti andando così ad aumentare il rischio di fitopatie future.
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