App, c’è una applicazione con la funzione di togliere, elettronicamente, i vestiti. Toglierli a chi? Il gioco che pare vada alla grande è toglierli i vestiti, via smartphone e solo su smartphone, alle ragazze. Quali ragazze? Quelle di ogni giorno. Le compagne di classe. La app le immagina senza vestiti, la app le “spoglia”. Poi le compagne di classe virtualmente spogliate non solo si guardano ma le loro “immagini” vengono fatte girare, circolare. Per lo più per riderci sopra e per insolentire questa o quella ragazza.
E’ un giocare maschile all’indubbio sapore di molestia. La molestia nei confronti delle ragazza è indubbio ingrediente del gioco. Un gioco peraltro antico. Senza volerne ripercorrere le modalità in ogni epoca e tempo, basti ricordare i buchi che gli adolescenti maschi realizzavano nelle assi di legno delle cabine negli stabilimenti balneari o i mitologici occhiali a raggi X di cui c’era la pubblicità perfino sulla Settimana Enigmistica. Dai buchi nelle assi, infilati sotto le cabine si tentava di spiare le donne che si spogliavano per il mare, per via di quegli occhiali ci si illudeva di vedere sotto le gonne, con la vita a raggi X, come Superman (all’epoca si chiamava Nembo Kid).
Anche qui, anche allora giochi maschili fatti anche di molestia nei confronti delle donne. Che però non subivano l’anatema sociale con cui oggi sono segnalati come pre demoniaci o già del tutto demoniaci. Allora sembrava si volesse sapere che, impastata con la intollerabile molestia, c’era la adolescenza con tutto il suo portato di obbligata, doverosa, goffa trasgressione. Giocare a spogliare le ragazze, cercare un supporto, una supplenza materiale alla propria fantasia era sì certamente, per dirla alla cattolica, peccato. E neanche tanto veniale. Ma commetterlo non mandava all’inferno. Tolleranza e consapevolezza del contesto si mischiavano e si era indulgenti con il maschio, molto meno quasi niente con la donna. Cui in fondo si chiedeva di sopportare anche questa.
Ora, in tempi di Metoo conclamato e vigente e sessuofobia massiccia quanto inconsapevole, giocare a spogliare (anche con la fantasia) le ragazze non è solo insolente, ruvido, maleducato e molesto per le donne. Ora è già vizio conclamato, violenza in pectore se non già di fatto. In tempi in cui la stessa seduzione è attività sospetta e potenzialmente criminogena, in tempi in cui l’attrazione sessuale, se eterosessuale deve mostrarsi molto pudica o meglio non mostrarsi affatto, la app che spoglia le compagne di classe è la fonte e l’oggetto di accorati, disperati “signora mia, dove siamo arrivati…”.
Pronunciati da sociologi e psicologi, pedagoghi e osservatori del costume tutti dotati di grandissima competenza nello spalmare acqua calda appena scoperta sulle vastissime piane di un presente senza orizzonte e dimensione. Ora consideriamo un diritto naturale degli adolescenti rifiutare e respingere come vessatoria ogni competenza acquisita per via scolastica e consideriamo parente, lontano ma parente, dello stupro la app che virtualmente spoglia le compagne di classe. C’è qualcosa di fuori asse, qualcosa di spostato e il sospetto che questa pedagogia sociale possa fare degli adolescenti quel che una volta si sarebbe detto, farne degli “spostati”.
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