Insulti razzisti a un arbitro di colore, “colpevole” di aver fischiato un calcio di rigore: dagli spalti qualcuno gli ha urlato cose come “nero di m…” e tanto altro. Così l’arbitro non ci ha pensato su due volte, si è messo il fischietto in tasca e se n’è andato. Si sente spesso dire che l’Italia non è un paese razzista, e sicuramente (vogliamo crederci) non lo è veramente. Però quante volte leggiamo oppure assistiamo di persona ad episodi del genere? E qui non c’è l’attenuante troppe volte utilizzata per giustificare un insulto da stadio. “Nero di m…” non è la stessa cosa di “figlio di p…”. L’insulto razzista non è spontaneo, non è una cosa che ti scappa di bocca. E’ una cosa che viene da dentro e che una volta che hai te la tieni. C’è poco da fare. Ma l’Italia non è razzista…
Dove, come e soprattutto perché
La fredda cronaca: siamo a Loria (Treviso) durante l’incontro Bessica-Fossalunga di Seconda categoria, terminata all’87’ sul risultato di 1-1. Terminata prima appunto perché l’arbitro Cissé dopo aver assegnato un rigore e dopo essersi preso gli insulti razzisti se n’è andato. I dirigenti delle squadre hanno riferito che la scelta del direttore di gara è stata improvvisa, senza avvisare i capitani. Cissé ha compilato il rapportino e lasciato gli impianti sportivi, senza parlare con l’osservatore arbitrale. Cissé, nato nel 1987 in Guinea, appartiene alla sezione Aia di Treviso dal 2016. E’ noto anche per il suo impegno sociale a favore dei bambini della Guinea. Quante volte episodi del genere accadono e non solo sui campi di calcio. Il più delle volte però, anzi diciamo praticamente sempre, si continua a giocare e la cosa finisce lì. Il giorno dopo nessuno si ricorda più di nulla e quindi coscienze pulite. Questa volta invece l’arbitro ha voluto dare un segnale e l’episodio non è finito e non finirà dimenticato. E’ sempre poco ma comunque un bel segnale per una Italia che…razzista non è.