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Biella, il carcere dei balocchi: nelle celle cellulari, hashish, cocaina, anabolizzanti…

All’interno del carcere di Biella hanno trovato un po’ di tutto: hashish, cocaina, crack, oppioidi, sostanze anabolizzanti, ma anche cellulari e sim. Insomma: altro che carcere. Un vero e proprio paese dei balocchi. L’inchiesta della procura di Biella, affidata alla squadra mobile della questura, ha portato all’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di 33 persone, tra cui detenuti ed ex detenuti, arresti domiciliari nei confronti di 12 familiari di detenuti e di tre agenti della polizia penitenziaria.

Nei confronti di altre tre guardie carcerarie, inoltre, è stata chiesta la sospensione dall’esercizio, ma si è in attesa dell’interrogatorio di garanzia. Un agente di polizia penitenziaria era stato arrestato il 20 dicembre scorso e da quel momento l’inchiesta ha avuto un’accelerazione. La procura di Biella ha indagato 89 persone, alla fine per 56 è stata chiesta e ottenuta la misura cautelare.

Carcere di Biella, l’inchiesta

L’inchiesta, partita dall’illecito smercio di tabacchi nel 2019, ha consentito di accertare come nel carcere venissero spacciati anabolizzanti e sostanze stupefacenti, portati microtelefoni e smartphone, impiegati anche per la gestione dello spaccio. Nel corso delle indagini alcuni testimoni hanno parlato del carcere di Biella come del ‘Paese dei balocchi’, altri hanno dichiarato “ci puoi trovare quello che vuoi”.

L’attività investigativa ha permesso poi di individuare piazze di spaccio gestite dai detenuti a seconda della tipologia della merce con la complicità di guardie che garantivano l’introduzione e la cessione di hashish, marijuana, cocaina, eroina, crack assicurando la possibilità di approvvigionamenti costanti con ingressi settimanali di 150/200 pastiglie di subotez, panetti interi da un chilo di hashish e telefoni cellulari, obbligando i detenuti ad acquistare il materiale a prezzi spropositati: 1.000-1.500 euro per uno smartphone, 200-500 euro per microtelefoni, anche minacciando i detenuti o i familiari in caso di mancato pagamento I traffici non facevano capo a una persona unica o a una organizzazione, ma vi erano vari gruppi di detenuti che li gestivano.

“Purtroppo – ha detto la procuratrice di Biella, Teresa Angela Camelio – la situazione che diversi anni fa mi venne presentata da alcuni rappresentanti della polizia penitenziaria in corso di un colloquio in procura, non solo è immutata, ma è implosa, dando origine a un vero e proprio caos”.

Gianluca Pace

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