Strattoni, schiaffi, spinte e metodi punitivi. Sei misure giudiziarie a carico della titolare di un asilo nido e di 5 maestre sono state emesse dal Tribunale di Milano a causa dei presunti metodi coercitivi e violenti esercitati nella struttura. La struttura si trova nel Milanese.
Le indagini sono nate dalle segnalazioni di alcune stagiste. Strattoni, schiaffi, spinte e metodi punitivi sarebbero stati accertati dai carabinieri di Legnano, portando alla misura cautelare dell’obbligo quotidiano di presentazione alla polizia e alla interdittiva del divieto di esercizio della professione, nei confronti della sei donne. I piccoli, molti dei quali stavano imparando a camminare, sarebbero stati bersagliati con piccoli oggetti per vederli cadere e quindi deriderli.
Le indagate, secondo quanto riferito dai Carabinieri del Comando provinciale di Milano “urlavano nei confronti dei bambini usando anche espressioni scurrili o li sbattevano per terra per costringerli a stare seduti o li svegliavano mettendoli in piedi sollevandoli bruscamente dai fianchi”.
Secondo le indagini, alcuni bimbi, anche a causa del sovrannumero all’interno della struttura, venivano messi a dormire nei bagni o su materassi in un salone, “talvolta completamente avvolti nelle coperte fin sopra alla testa”. Se in preda al pianto, venivano ignorati “anche per mezz’ora” o chiusi nella stanza della nanna “finché smettevano”.
Tra le accuse c’è anche il ‘tiro al bersaglio’ con ‘cubotti’, cuscini e palline di plastica contro i bimbi.
Come si legge nell’ordinanza del gip citata dalle agenzie, le maestre , oltre alle pantofole e ai giocattoli, avrebbero lanciato “quasi quotidianamente” palline di plastica contro i piccoli “facendo a gara a chi ne colpisse di più, attribuendo dei punteggi alle varie parti del corpo colpite” fino a un massimo di 5 punti se il bimbo fosse caduto. Un gioco che, in aggiunta al resto, per il giudice è indice di “una spiccata pericolosità sociale” tale da “rendere assai probabile la reiterazione di analoghi comportamenti”, vista “l’incapacità” delle indagate di “percepire il disvalore delle loro condotte”.
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