Nuovo caso di latitanza a Brescia, dove sono irreperibili padre, madre e fratello di quattro ragazze che venivano picchiate perché “non brave musulmane”. I tre, di origini pakistane ma cittadini italiani, sono stati condannati in via definitiva dalla Cassazione a cinque anni ad inizio luglio, ma ora sono spariti, ed già anche firmato il decreto di latitanza da parte del primo giudice che li ha condannati. Nella casa dove avevano residenza risulta viverci un connazionale.
I tre sono stati condannati per maltrattamenti che sarebbero consistiti in schiaffi, pugni, tirate di capelli “perché le figlie rifiutavano di studiare ogni giorno le sure del Corano, e per obbligarle a indossare abiti tradizionali della cultura pakistana”. Condannandoli, il Tribunale aveva stabilito che “i soggetti provenienti da uno Stato estero devono verificare la liceità dei propri comportamenti e la compatibilità con la legge che regola l’ordinamento italiano. L’unitarietà di quest’ultimo non consente, pur all’interno di una società multietnica quale quella attuale, la parcellizzazione in singole nicchie, impermeabili tra loro e tali da dar vita ad enclavi di impunità”.
Rigettando la tesi difensiva del reato culturalmente orientato il presidente Roberto Spanó aveva aggiunto che “la giurisprudenza di legittimità ha da tempo escluso ogni rilevanza scriminante dei comportamenti indotti da fattori culturali o ideologici confliggenti con i valori fondamentali inderogabili dell’ordinamento, tra i quali è ricompreso anche il rispetto delle norme penali, ispirate alla tutela delle vittime, quale limite invalicabile rispetto all’infiltrazione nella società civile di consuetudini, prassi, costumi contrastanti con il progresso sociale e con l’intangibilità dei diritti fondamentali dell’individuo. Sia esso cittadino che straniero”.
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