Sono stati ascoltati come persone informate sui fatti i due macchinisti del treno coinvolto nell’incidente ferroviario della scorsa notte a Brandizzo (Torino). Il fascicolo aperto dalla procura di Ivrea resta per ora a carico di ignoti. Le ipotesi di reato sono disastro ferroviario colposo e omicidio plurimo colposo.
Siamo alle prime battute nella ricerca della verità per un disastro giudicato dagli addetti ai lavori “tecnicamente impossibile”, prevalgono al momento commozione, rabbia, solidarietà. E sgomento: come è stato possibile visto che da Rfi a Trenitalia tutti si affannano a dire che il protocollo prevede lavori di manutenzione solo con lo stop alla circolazione dei treni?
Non può bastare, di sicuro, il riferimento a un non meglio precisato “errore di comunicazione” evocato a caldo dal sindaco di Brandizzo. Suona maldestra questa spiegazione (non per colpa del sindaco), quasi a richiamare la solita giustificazione di comodo a qualche fallimento politico.
E comunque autorizza a formulare l’ipotesi di un errore umano, anche se procedure e controlli dovrebbero circoscrivere al minimo tale eventualità. I sistemi automatici, poi, sono programmati per monitorare la corsa dei treni lungo la linea, non si accorgono delle presenza di persone, spiegano gli esperti.
Sembra che il treno, senza passeggeri e addetto allo spostamento di altri convogli e vagoni, viaggiasse a 100 km orari, con l’autorizzazione a poter percorrere anche a velocità più sostenuta (160 km/h) quel tratto. Proprio in virtù del fatto, drammaticamente smentito, che se il treno ottiene il via libera, lavori e cantieri – come nel caso della sostituzione dei binari – cui erano impegnati i 5 poveri operai – sono irrevocabilmente sospesi. Per lavorare hanno bisogno di un nulla osta subordinato allo stop della circolazione sulla linea.
Come confermato da Fs. “Per quanto riguarda la velocità del treno investitore, le condizioni della linea gli consentivano in quel tratto di raggiungere una velocità massima di 160 km/h. La questione è altra: i lavori, secondo procedura, sarebbero dovuti iniziare soltanto dopo il passaggio di quel treno”.
Questo genere di interventi di manutenzione, che nello specifico riguardano l’armamento della linea, Rfi li affida anche a imprese esterne e sono lavori che si eseguono in assenza di circolazione dei treni. Secondo Rfi, “un cantiere di quel tipo può essere attivato soltanto dopo che il responsabile della squadra operativa, in questo caso dell’impresa appaltatrice, ha ricevuto il nulla osta formale ad operare, in esito all’interruzione del traffico ferroviario concessa da parte del personale abilitato”.
La certificazione sulla sicurezza della ditta Sigifer, l’azienda appaltatrice di Rfi, sul sito uufficiale non è aggiornata, reca la data di scadenza del 27 luglio. L’azienda dice che è tutto in regola, manca solo l’aggiornamento del sito.
E’ una circostanza su cui riflettere il ricorso ad appalti e subappalti da parte di Rfi. Motivo, secondo una parte dei sindacati, di uno scadimento delle condizioni di sicurezza in nome della produttività.
“La norma è chiara: non puoi lavorare su un binario se non hai la certificazione che non passa più un treno lungo quella tratta. E un treno è passato, voglio sapere per quale motivo. Anche se ovviamente quelle cinque vite non tornano indietro”.
In effetti la questione posta dal ministro delle Infrastrurre Salvini è tutta in questa alternativa disattesa.
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