Mistero Orlandi: dopo la screzio tra gli Orlandi, nella persona di Natalina, e i Meneguzzi, nella persona di suo cugino Pietro, provocato dalla storia delle avance amorose di zio Mario nei confronti di sua nipote Natalina cinque anni prima della scomparsa di Emanuela, ecco un altro screzio.
Anzi, una rottura netta. Insanabile. Questa volta tra l’avvocatessa Laura Sgrò e il suo assistito Pietro Orlandi da una parte e dall’altra parte Immacolata Chaouqui: vale a dire, la donna che sette anni fa, cioè nel 2017, al suo amico Pietro Orlandi ha presentato e consigliato come avvocato proprio la Sgrò.
Da coprotagonista della prestigiosa struttura vaticana COSEA (sigla della Pontificia Commissione Referente di Studio e Indirizzo sull’Organizzazione della Struttura Economico-Amministrativa), nel 2016 la signora Chaouqui è decaduta a coprotagonista di scandali vaticani, che oltre a pettegolezzi di varia natura le hanno fruttato l’espulsione dalla COSEA, un processo e una condanna a 10 mesi, pena sospesa, per diffusione di documenti riservati. Condannata insieme a monsignor Lucio Vallejo Balda, spagnolo e membro dell’Opus Dei, il prelato che aveva chiesto e ottenuto da Papa Francesco il suo ingresso nella COSEA, unica donna degli otto membri. Ma veniamo allo screzio, di fatto una rottura insanabile.
Ma veniamo allo screzio, anzi alla rottura tra le due primedonne del mistero Orlandi.
– 15 ottobre. ”Non ho nulla da aggiungere sulla vicenda di Emanuela Orlandi. Lasciatemi in pace se potete. Ne ho diritto anche io”.
Questa è la risposta arrivata via social alla Sgrò dopo che Pietro Orlandi il 7 ottobre in un dibattito in una sala del Campidoglio aveva chiesto a Papa Francesco di sciogliere Chaouqui dall’obbligo del segreto pontificio imposto a tutti i membri della COSEA in modo che, liberata da tale obbligo, potesse finalmente fare chiarezza sul contenuto della misteriosa cassa che lei stessa avrebbe lasciato all’interno della basilica di Santa Maria Maggiore. E che secondo Pietro conterrebbe i resti di Emanuela e/o i documenti sulla sua sorte.
– 17 ottobre. Laura Sgrò non demorde. Nella sua audizione nella Commissione parlamentare ha voluto sottolineare:
“Io mi auguro che Francesca Immacolata Chaouqui venga chiamata per far luce sulle chat”. ”Riguardo a queste chat continuo a leggere un discorso di segreto pontificio, ma il mio pensiero è il seguente: se hai un segreto pontificio stai zitto e non dici niente, non vai a cercare un familiare di una vittima per dirgli qualcosa e poi nasconderti”.
Le chat in questione sono quelle che secondo Pietro Orlandi si sono scambiate via Whatsapp la signora Chaouqui e monsignor Balda e che – sempre secondo Pietro – potrebbero far luce sulla fine di Emanuela. Tanto che lui ne ha consegnato gli screenshot alla commissione parlamentare quando è stato audito lo scorso 10 giugno. Chat già presentate dallo stesso Pietro ai magistrati romani e a quelli vaticani impegnati anche loro nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela. Consegnate e rivelatesi fasulle: monsignor Balda ad alcuni suoi amici ha fatto sapere che di quelle attribuite a lui ne ha negato la paternità. Per il tandem Sgrò/Pietro una debacle. Che fa il paio con la debacle della “pista inglese”, anch’essa rivelatasi basata su documenti fasulli. Tant’è che non si capisce perché Pietro e la Sgrò insistano.
– 18 ottobre. La risposta della Chaouqui non s’è fatta attendere. Già il giorno dopo le dichiarazioni della Sgro ha infatti ribattuto su Facebook in modo netto, gentile, ma duro e rovinoso per la narrazione su cui, supportato e spalleggiato dalla sua avvocatessa, insiste Pietro:
“Laura Sgrò è una professionista coraggiosa e appassionata. Le sono anche grata per avermi difeso gratis durante Vatileaks. Però non capisco cosa vuole che dica in commissione che non ho già detto a lei o a Pietro. Dei messaggi ne parliamo insieme da 8 anni. 8 anni in cui li abbiamo vivisezionati, 8 anni, signori, non 8 giorni. Cosa c’è di nuovo adesso?
Ribadisco che il segreto pontificio riguarda Cosea in generale e non ho intenzione di sciogliermi da esso. Fu la Sgrò a chiedere per me che venissi sciolta dal segreto per difendermi nel processo e non le fu neanche risposto tanto la cosa non venne manco presa in considerazione. Io non mi sciolsi per difendermi, rinunciai. Figurati se lo farei ora. Per dire cosa poi? Niente di utile.
Io non ho alcun segreto diretto sulla vicenda Orlandi, non ho mai giurato sul Vangelo dicendo che avrei tenuto il segreto specifico su Emanuela Orlandi perché io di Emanuela mi sono occupata per fatti che ho conosciuto de relato e che dopo la diffusione della chat sono pubblici. Su cosa devo rispondere in commissione che non ho già detto? Che cosa vogliono sapere da me che non si conosce già?
Perché invece non domandano a monsignor Balda di venire in commissione? Forse perché direbbe che è tutto falso, comprese le chat, direbbe che non esiste niente, negherebbe tutto come ha già detto in interrogatorio in Vaticano. E allora io cosa devo venir a fare?
Io non voglio andare in commissione non perché abbia qualcosa da nascondere ( sarebbe favoreggiamento e questa roba deve finire perché mi arrabbio alla prossima): per fare anche io show inutile e parlare di supposizioni smentite?
Io non voglio andare perché non credo nell’utilità di tutto questo, non ci credo, mi dispiace e Laura e Pietro lo sanno. Mi dite una sola audizione finora di questa commissione che ha portato un grammo di verità in più? Una cosa nuova in più ? Una pista in più? Un documento? Un centimetro di verità in più? C’è una inchiesta in Vaticano invece a cui lavora gente seria, la stessa del processo di Londra: perché vengono sempre e continuamente delegittimati con la frase che il Vaticano non ha fatto niente? Forse perché non consentono intrusioni sulle loro indagini? Perché non fanno dirigere i giochi a nessuno dall’esterno? Perché non lo fanno fare alla stampa, soprattutto? Essere parte lesa non significa dover condurre le indagini e spiegare agli inquirenti ogni giorno cosa fare o dire e come e quando farlo o dirlo. Da fastidio questo? Pace, la Santa Sede non è il fumetto di Dylan Dog dove c’è il genio investigatore che dirige la polizia e risolve il caso, non è law and order.
Dire che il Vaticano non ha fatto nulla è assurdo, forse non ha fatto ciò che voleva qualcuno e a mio avviso ha fatto benissimo.
Pietro e Laura hanno fatto istanze per anni alla fine tutte accolte compreso riaprire l’inchiesta.
Ultima cosa: mi rivolgo a Laura: nascondermi? Mi dispiace, ma se mi fossi nascosta tu non avresti forse mai conosciuto Pietro e tutto ciò che è accaduto non sarebbe mai accaduto”.
Come si vede, uno sgretolarsi del settennale fronte unitario Pietro/Chaoqui/Sgrò che è diventato un vero e proprio siluro lanciato ad affondare le narrazioni di Pietro Orlandi, compreso l’insistere a sostenere che il Vaticano in realtà sa e tace, anzi rema contro. Un “fuoco amico” che riduce in cenere le sue pretese di “rivelazioni e piste da seguire”.. E che denuncia esplicitamente la sua strana e insistente pretesa di pilotare le indagini: sia dei magistrati, italiani e vaticani, che della stessa commissione parlamentare.