Per la seconda volta in pochi mesi la Corte costituzionale “salva” il carcere ostativo, rinviando gli atti ai giudici, stavolta di Perugia e Avellino, che avevano sollevato dubbi sulla costituzionalità delle norme che limitano l’accesso ai benefici penitenziari ai responsabili di gravi reati, non solo di mafia e terrorismo.
La ragione è che è intanto intervenuta una nuova legge alla luce della quale i magistrati dovranno valutare se le loro riserve sulla normativa hanno ancora ragion d’essere o siano state superate dalla disciplina entrata in vigore a ottobre dello scorso anno. Si tratta del primo decreto del governo Meloni, quello che ha introdotto tra l’altro il reato di rave party e che è intervenuto non solo sull’ergastolo ostativo ma su tutti i reati a cui si applica l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.
Per lo stesso motivo a novembre la Consulta aveva rinviato gli atti alla Cassazione, che per prima aveva posto la questione di incostituzionalità, con riferimento specifico all’ergastolo ostativo, e la cui decisione è ora attesa per l’8 marzo prossimo.
Stavolta le questioni sollevate dal tribunale di sorveglianza di Perugia e dal magistrato di sorveglianza di Avellino riguardavano l’articolo 4-bis nella parte in cui, in caso di condanna per delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma pur sempre “ostativi”, non consente al detenuto che non abbia collaborato con la giustizia di essere ammesso alle misure alternative alla detenzione.
Si trattava rispettivamente, nei due casi, della richiesta di accedere all’affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà. In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte costituzionale ha deciso di restituire gli atti ai giudici “a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge”, convertito in legge a dicembre.
Perché “le nuove disposizioni incidono immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione a favore di tutti i condannati per reati cosiddetti ostativi, che non hanno collaborato con la giustizia”.
Tutti loro, sottolinea la nota, “sono ora ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo”. Di qui l’esigenza che i giudici valutino se c’è ancora materia del contendere.
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