A mezzo stampa e tv (e come altrimenti?) in un concorso di interviste plurime dalla Procura che ha indagato su Covid Italia 2020 (vasto programma) è arrivata la motivazione di fondo a sostegno del lavoro fatto. Eccola: “Dovevamo dare una risposta ai cittadini, era questo il nostro dovere e lo abbiamo fatto”. Il magistrato intervistato nel prosieguo della conversazione constata, con competenza e cognizione di causa che il reato in ipotesi, e cioè “epidemia colposa”, è “difficilmente configurabile”. Cioè è difficile definire dal punto di vista penale quale concreto comportamento possa configurare “epidemia colposa”, difficile se non impossibile. Perché la stessa “colpa” di una epidemia è dizione allusiva anche se affascinante.
Le interviste contengono altro e coerente concetto: decideranno i magistrati giudicanti se qualche reato c’è stato, la Procura che consegna loro gli esiti della sua indagine mette in conto, quasi prevede che in sede giudicante possa non esservi nessuna condanna perché il reato “presenta problemi di configurabilità”. D’altra parte è certo noto alla Procura come procedimenti giudiziari analoghi promossi in altre giurisdizioni italiane siano finiti in archiviazioni e/assoluzioni. Tutto chiaro e va dato atto di sincerità ed onestà alla Procura: l’hanno fatto per “dare una risposta ai cittadini”. Ai cittadini che hanno subito lutti e quindi cercano nell’individuazione di un qualche colpevole un senso alla loro perdita. Ai cittadini tutti, non solo quelli che hanno sofferto lutti e dolore.
L’hanno fatto per dare risposta anche ai cittadini che soffrono cronicamente di mugugno e livore. E anche ai cittadini che non tanto sanno e non vogliono tanto sapere ma fortemente vogliono che disastri, guai, tragedie sia sicuro e garantito che non avverrebbero se non fosse colpa di qualcuno, qualcuno che abita nei palazzi dei Poteri. Terremoto? Colpa di chi non ha avvertito. Alluvione? Colpa del sindaco. Una sorta di informale (ma in seduta e operatività permanente) tribunale del popolo esige da tempo risposte sulle “colpe sul Covid”. Anche questa domanda ha avuto ascolto nell’indagine della Procura. Che, parole sue, ha sentito come suo dovere e missione “soddisfare la sete di verità”.
C’era una volta il magistrato semplice, si limitava a rispondere e a vigilare sul rispetto delle leggi e su azioni che le violavano. Il magistrato semplice aveva orizzonti limitati: individuare un reato preciso, le sue circostanze e chi e come quel “fatto” aveva fatto, commesso. Ora invece, come esemplifica l’inchiesta sul Covid, altri e più vasti obiettivi: rispondere ai cittadini, soddisfare la sete di verità. Perfino Marco Travaglio, perfino lui si è chiesto, pubblicamente chiesto, se questa non sia…troppa grazia, santa magistratura. Le prove esperite e mostrate inducono a concludere che non sia proprio solo e davvero amministrazione della giustizia, ma sia anche manifesta e rivendicata soggezione della magistratura alla egemonia culturale del “gentismo”.
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