L’Emilia e il Paese ricordano l’eccidio dei sette fratelli Cervi. Era il 28 dicembre 1943. Giusto 80 anni fa. Il loro insegnamento – coerenza, cultura, giustizia sociale – ancora oggi, più che mai, è un esempio.
Il Comunismo non esiste più, ma le celebrazioni resistono ancora. Anzi. Nella Bassa Reggiana tutti (quorum ego) ne sono coinvolti. Certo, a vario titolo, ma la presa di coscienza è collettiva. È un imperituro risveglio. La consapevolezza illumina. Avverte. Di questi tempi è addirittura una necessità.
Mercoledì 27 e giovedi 28, da Guastalla al cimitero e alla Tomba Monumentale della famiglia Cervi, a Campegine. Poi in Cattedrale a Reggio Emilia con una messa celebrata dall’arcivescovo Morandi.
Quindi trasferimento in Municipio, nella storica Sala del Tricolore. Sarà il governatore Stefano Bonaccini a tenere l’orazione ufficiale. Il corteo celebrativo terminerà al poligono di Tiro, luogo della fucilazione.
Casa Cervi (a Gattatico) resterà aperta al pubblico per assistere allo spettacolo (“Cide – I doni di papà Cervi”), su testo di Marina Allegri e regia di Maurizio Bercini con Fulvio Redeghieri. Nella due giorni di celebrazioni anche una mostra fotografica, un corteo ciclistico, una fiaccolata, un concerto.
Ottanta anni fa la fucilazione per anti-fascismo. Una storia che ancora oggi procura brividi, incredulità, stupore. In breve: pattuglie di Repubblichini durante un rastrellamento catturarono nel loro podere – tra Gattatico e Campegine, Bassa Reggiana – i sette fratelli Cervi.
Era la notte del 24 novembre 1943. La fattoria fu incendiata, lasciando donne e bambini terrorizzati. Un mese dopo furono fucilati insieme al guastallese Quarto Camurri, distributore di giornali, componente della cosiddetta “Banda Cervi”.
I figli di Alcide (1875-1970) si chiamavano: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore. Papà Alcide ha scritto nel 1955 la terribile storia (“I miei sette figli”) pubblicato da Editori Riuniti e distribuito in molto Paesi.
Così l’eccidio è diventato una storia internazionale. Una storia ripresa anche dal poeta Salvatore Quasimodo e dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
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