Cronaca Italia

Emanuela Orlandi in libreria: due magistrati in contrasto, Nicotri: hanno la memoria corta

Al mistero Orlandi si aggiunge ora il mistero delle verità tra loro inconciliabili scritte nei rispettivi libri da due magistrati che di quel mistero si sono occupati in epoche diverse.

Entrambi senza successo, cioè senza essere riusciti a venire a capo di nulla.

E che ciononostante pretendono di far passare le loro private convinzioni per verità assodate.

Stiamo parlando di Ilario Martella e Giancarlo Capaldo, rispettivamente giudice istruttore del caso Orlandi dall’11 marzo del 1985 al 1990 e sostituto procuratore dello stesso caso dal 2008 al 2015.

Emanuela Orlandi Intrigo Internazionale

Autori il primo del recentissimo libro intitolato “Emanuela Orlandi Intrigo Internazionale” e il secondo del recente libro intitolato “La ragazza che sapeva troppo” nonostante non contenga la minima traccia di cosa sapesse di troppo o non di troppo la ragazza vaticana scomparsa il 22 giugno 1983.

Intanto notiamo subito una imprecisione non da poco nella presentazione del libro di Martella fatta dalla stessa casa editrice Ponte alle Grazie, che definisce infatti l’ex magistrato come il primo che si è occupato delle indagini giudiziarie, mentre invece è stato il terzo: preceduto dai magistrati Margherita Gerunda e Domenico Sica.

La casa editrice inoltre per enfatizzare il lavoro del suo autore arriva a definire il mistero Orlandi “il mistero più doloroso della storia italiana”.

Mah! Inevitabile quindi che l’errore su Martella primo magistrato del caso sia stato ripreso dalla stampa a partire dall’Ansa, che per non essere da meno definisce il caso Orlandi  “il mistero più oscuro della storia italiana”.

Uccisa dalla Stasi

Emanuela Orlandi in libreria: due magistrati in contrasto, Nicotri: hanno la memoria corta – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Martella sostiene senza mezze misure e senza il minimo dubbio che Emanuela “è stata uccisa subito dalla Stasi”, i servizi segreti dell’allora Germania Est, e che la sua scomparsa è legata a quella di Mirella Gregori, avvenuta il 7 maggio dello stesso ’83, e che entrambe sono state vittime dei servizi segreti degli allora esistenti Paesi comunisti Unione Sovietica e Repubblica Democratica Tedesca.

Il tutto legato all’attentato dell’81 a Papa Woytila, quando il fanatico islamista turco Alì Mehnet Agca gli sparò domenica 13 maggio in piazza S. Pietro ferendolo gravemente.

Attentato del quale Martella pure si è occupato perché nel novembre 1981 la Procura generale gli affidò un supplemento d’istruttoria per stabilire eventuali complicità di Ali Ağca. Debitamente istruito dai nostri servizi segreti civili, come ha ammesso a suo tempo, nel dicembre 1982, lo stesso ministro della Difesa Lello Lagorio, Agca si inventa che ad arruolarlo per sparare a Wojtyla sono stati i servizi segreti bulgari su mandato di Mosca.

Era l’epoca della “guerra fredda” e accusare l’Unione Sovietica di ogni delitto faceva comodo anche alla lotta contro il comunismo.

Lotta della quale Wojtyla, polacco che voleva liberare la Polonia dalla “tutela” sovietica, era un alfiere: tanto da rendere credibile che il Cremlino volesse davvero eliminarlo anche fisicamente.

Checché insista a dire anche oggi Martella, nel 1985, cioè quattro anni dopo la sua inchiesta, la Procura della Repubblica di Roma ne ha ordinata un’altra per chiarire una volta per tutte le asserite complicità internazionali di Ağca, inchiesta condotta dai magistrati Antonio Marini e Rosario Priore e conclusa con l’archiviazione nel 1988: nulla aveva dimostrato che davvero l’attentatore turco fosse stato manovrato dai bulgari o dai russi o da altri.

Strano che Martella oggi non ricordi quanto lui stesso ha dichiarato quell’anno riguardo alcune “sensazionali rivelazioni” fatte da Agca, compresa quella di essere stato ingaggiato dall’allora GRU, la polizia segreta di Mosca, e di essere stato istruito anche a sparare con un addestramento in Siria:

– “Ho più volte sottolineato che, vista la personalità torbida e complessa di Mehmet Ali Agca, non è credibile se non nei limiti in cui le dichiarazioni da lui rese trovino riscontro dopo un’attenta verifica istruttoria”. Riscontri che NON ci sono mai stati.

– “[Riguardo il GRU e l’addestramento in Siria] Non è credibile, essendo allo stato una dichiarazione priva di qualsiasi riscontro”.

Martella in commissione parlamentare

Martella lo scorso 27 giugno è stato ascoltato dalla commissione parlamentare che si occupa delle due scomparse. Tanto è bastato per affermare da parte di molti, soprattutto a supporto del suo libro, che con i suoi racconti ha convinto la commissione della bontà della sua pista internazionale, quella cioè smentita dalle inchieste giudiziarie.

Peccato che l’onorevole Roberto Morassut, che della commissione parlamentare è il vicepresidente, nella recentissima video intervista del 27 agosto al giornalista Max Parisi l’abbia nettamente esclusa.

Strano anche che Martella sostenga che le scomparse della Gregori e della Orlandi sono collegate, quando invece la lunga istruttoria di Adele Rando si è conclusa nel dicembre 1997 sostenendo l’esatto contrario: NON esisteva nessun collegamento.

Della lunga lista di magistrati che si sono occupati dei due casi, unificati da Domenico Sica, NESSUNO ha mai trovato prove o anche solo indizi di collegamento. Prima dell’unificazione di Sica, del caso Gregori s’era occupato il magistrato Giuseppa Geremia, e dopo Sica si sono occupati di entrambi i casi lo stesso Martella, Adele Rando, Giovanni Malerba, Italo Ormanni, Lucia Lotti, Andrea De Gasperis, Simona Maisto, Roberto Staffa e Giancarlo Capaldo.

E NESSUNO di loro, neppure Martella, ha mai trovato e messo agli atti collegamenti tra le due scomparse.

Il poliziotto Bruno Bosco interrogato da Sica due anni dopo la scomparsa di Emanuela ha messo a verbale di avere visto nel pomeriggio del 22 giugno ’83 una ragazza somigliante a Emanuela Orlandi parlare davanti al Senato in corso del Rinascimento con un uomo che sul cofano di una “BMW color verde tundra” le mostrava degli oggetti presi da “un tascapane di tipo militare”.

Bosco ha aggiunto che quando l’uomo ha aperto il tascapane lui ha visto che al suo interno era stampata la lettera A maiuscola. Dopo la presa in consegna dell’inchiesta da parte di Martella, la lettera A è diventata la parola Avon, a conferma della teoria dell’adescatore che lavorava per i prodotti di bellezza della Avon, e il  “tascapane di tipo militare” è diventato una “valigetta 24 ore”.

Il libro Intrigo internazionale non spiega come è avvenuta questa  doppia trasformazione miracolosa.

Come ho scritto in libri e articoli mai smentiti, Martella nel 2002 mi ha detto, che “Sica ha indagato poco o nulla perché convinto che fosse una storia tra Emanuela e suo zio Meneguzzi”.

Parole che, come pure ho scritto in libri e articoli mai smentiti,  ho riportato a Egidio in una delle mie due telefonate fattegli nel 2002, e che Egidio anziché darmi del pazzo ha confermato dicendomi “Eh già, lo sa”.

Ma Martella né nel corso della sua inchiesta giudiziaria né nel suo libro ha fatto il minimo cenno alla citata convinzione di Sica, nonostante sia bene evidente che sarebbe oltremodo importante spiegare il perché di tale convinzione, della quale era bene al corrente.

A conti fatti, credo che la valutazione più indovinata e realista del libro di Martella sia quella fatta su Facebook con un post del 30 agosto dal torinese Enrico Lorenzo Cassini, reduce da un bel viaggio a Istanbul:

“Qualche giorno fa è uscito un libro intitolato, riecheggiando probabilmente Hitchcock, “Emanuela Orlandi. Intrigo internazionale”. L’autore è l’ex magistrato Ilario Martella, che si occupò, se non sbaglio come giudice istruttore, dell’attentato a Giovanni Paolo II per mano di Ali Agca. Dovrebbe essere un libro di inchiesta, ma in realtà è un cacciucco fantapolitico a metà tra un Le Carré sgangherato e un Romanzo criminale incompiuto, senza il minimo rispetto per la realtà, la logica e la storia.

Avendo chiari in mente anche altri “teoremi” partoriti da magistrati italiani, a cominciare dal Calogero dell'”Affare 7 aprile”, ai tanti deliri dei vari Imposimato, Priore, del povero Carlo Palermo, e dei troppi scenari confusi e nebbiosi su stragi, P2, terrorismo e persino su Cicci il mostro di Scandicci, mi pongo una domanda… mi verrebbe da dire una domanda epistemologica: ma non sarà che l’argomentazione e il metodo implicati proprio dal sistema giuridico (penalistico e soprattutto proceduralpenalistico) italiano, conduce a uno scollamento con la realtà? Non sarà che quell’accrocchio di norme in cui sussumere il fatto storico-naturale, come direbbe Jannacci, “la te impirlis come ‘n cuiun”?”.

La telefonata con Egidio l’ho registrata e – come ho scritto in libri e articoli mai smentiti – ne ho dato copia del sonoro e della sbobinatura a Capaldo. Infine nell’agosto dell’anno scorso ho pubblicato un interessante riepilogo della faccenda, facendo rilevare che col file sonoro e la sbobinatura Capaldo NON ci ha fatto nulla.

Non l’ha messa neppure agli atti, pur avendomi assicurato che avrebbe fatto ascoltare e leggere il tutto alla collega Simona Maisto, che l’affiancava nell’inchiesta sul caso Orlandi, per deciderne l’utilizzo.

Veniamo ora al libro di Capaldo, scritto a quattro mani con il giornalista del Corriere della Sera Ferruccio Pinotti ed edito da Solferino, casa editrice dello stesso gruppo RCS (Rizzoli-Corriere della Sera Media Group S.p.A.)  proprietario anche del Corriere della Sera.

Basta leggere il sottotitolo e  come viene presentato il libro nella sua quarta di copertina per capire tre cose:

– smentisce in modo netto la pista bulgaro-sovietica-tedesco orientale di Martella;

– si tratta di un repechage e riciclaggio di vecchie piste e rivelazioni già cestinate anche perché in contraddizione tra loro;

– punta allo scandalismo chiesastico vatican sessuale.

Il sottotitolo infatti è “Come il caso Emanuela Orlandi è stato coperto in Vaticano per 40 anni”: è grave che un magistrato, quale è stato Capaldo, non sappia che il Vaticano non ha potuto condurre indagini giudiziarie fino a tempi recenti per il semplice motivo che gli Orlandi la denuncia di scomparsa l’avevano fatta solo alla polizia italiana e non anche alla Gendarmeria vaticana, alla quale si sono rivolti solo i tempi recenti.

Teniamo inoltre presente che Emanuela è sparita in territorio italiano, non vaticano, perciò a maggior motivo il Vaticano non aveva titolo per un’indagine giudiziaria. Teniamo presente anche che non è affatto vero che il Vaticano non ha mai risposto alle rogatorie della magistratura italiana, errore che ho fatto anch’io col mio primo libro, Mistero Vaticano, edito da Kaos nel 2002, ma al quale ho posto rimedio col mio terzo libro, Triplo inganno, edito sempre da Kaos nel 2014, con il quale ho pubblicato parte delle risposte alle rogatorie.

Nella quarta di copertina  leggiamo:

“Nel pomeriggio del 22 giugno 1983, Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di quindici anni, esce di casa per recarsi a una lezione di musica. Non vi farà più ritorno e, in poco tempo, la sua sparizione si trasforma in uno dei misteri più terribili dell’Italia di sempre. In questi quarant’anni, mentre la famiglia ha inseguito una verità con la quale fare i conti, si sono accavallate sul caso ipotesi di ogni genere: dai legami con il crack del Banco Ambrosiano al terrorismo internazionale – con l’implicazione dell’attentatore di Giovanni Paolo II, Ali Agca – dal coinvolgimento della Banda della Magliana a un festino pedofilo di alti prelati finito tragicamente.

“In parte purtroppo solo ricostruzioni fantasiose, volte a depistare gli inquirenti e confondere l’opinione pubblica, già angosciata dai silenzi del Vaticano e da indagini senza esito.Ricostruendo minuziosamente lo scenario della scomparsa della «ragazza con la fascetta», Ferruccio Pinotti e Giancarlo Capaldo svelano i retroscena dell’affaire sullo sfondo degli ultimi scampoli di Guerra fredda: perversioni, ricatti e lotte di potere.

“Dai sospetti su esponenti del clero all’opaco ruolo dei servizi segreti, dai depistaggi agli inattesi documenti sul possibile trasferimento di Emanuela a Londra e all’incredibile sepoltura in Sant’Apollinare di Enrico De Pedis, gli autori ricostruiscono – alla luce di testimonianze e documenti inediti – una ragnatela che si è fatta sempre più fitta, valorizzando alcune piste liquidate come inattendibili e aprendo nuove vie di indagine”.

C’è da fare qualche osservazione aggiuntiva:

– Le “nuove via di indagine” non si sa da chi sarebbero state aperte, certo non dalla magistratura.

– “gli inattesi documenti sul possibile trasferimento di Emanuela a Londra” si sono già rivelati dei falsi grossolani;

– “l’incredibile sepoltura in Sant’Apollinare di Enrico De Pedis”, l’asserito boss della banda della Magliana morto peraltro incensurato, è già stata indagata dal ’95 al ’97 dal magistrato romano Andrea De Gasperis, che ha archiviato l’indagine perché non vi ha trovato nulla di inspiegabile, nulla di illegale e neppure di semplice sospetto.

Di persone qualunque sepolte in chiese romane ce ne sono più d’una, e De Pedis non era neppure sepolto in chiesa, ma in un suo sotterraneo sconsacrato.

– il “festino pedofilo di alti prelati finito tragicamente” non si sa quale sarebbe, dove e quando è avvenuto. In ogni caso la pedofilia con la scomparsa di Emanuela non c’entra un fico secco perché gli eventuali rapporti sessuali con un minorenne che ha compiuto i 14 anni NON sono visti dalla legge come rapporti di pedofilia, illeciti per definizione, ed Emanuela i 14 anni li aveva superati, anche se solo di un anno e mezzo.

Grave  che un magistrato, quale è stato Capaldo, non conosca la legge italiana in fatto di pedofilia. Agitarla   serve però a creare scandalismo, a fare così notizia più succulenta e in definitiva a vendere più copie. Alla faccia della realtà. E della stessa Emanuela.

Come che sia, è evidente che il libro di Capaldo e Pinotti contraddice quello di Martella – e viceversa – perché non si impicca col cappio del duplice rapimento Emanuela più Mirella e neppure col cappio del loro rapimento e uccisione da parte della Stasi.

Il libro di Martella

Ansa 1

Ansa 2

Corriere.it

Repubblica

Morassut

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Pino Nicotri