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Emanuela Orlandi, Pino Nicotri: “Morta dopo un tentativo di stupro, è la pista più credibile”

Le indagini e valutazioni di Pino Nicotri, giornalista che al caso di Emanuela Orlandi ha dedicato 4 libri e moltissimi articoli sulle nostre pagine, sono divenute ora anche una testimonianza raccolta dal promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, titolare dell’inchiesta vaticana voluta da papa Francesco a 40 anni di distanza dalla scomparsa della ragazza. Il giornalista ne parla a Quotidiano Nazionale.

Emanuela Orlandi, le rivelazioni di Pino Nicotri

“La pista amical-familiare è statisticamente la più diffusa ma è l’unica che in questo caso non si è voluta prender e in considerazione. Con Diddi ho avuto un colloquio di tre ore. Quello che posso dire per ora è che non abbiamo parlato della cosiddetta pista dello zio, cioè riconducibile a Mario Meneguzzi, ma di altre ipotesi. Ad esempio quella legata alla partecipazione di Emanuela a un programma televisivo”.

Nicotri spiega: “Un mesetto prima di sparire Emanuela aveva partecipato alla trasmissione Tandem sulla Rai e io ho notato che era in prima fila, inquadrata spesso, è possibile che qualcuno della troupe avesse notato questa ragazza e la facesse inquadrare con una certa insistenza, da lì potrebbe essere nato qualche rapporto di conoscenza ma la cosa non è mai stata indagata. È importante invece perché ricostruendo anche le varie fasi del giorno della scomparsa il 22 giugno 1983, appare più plausibile che lei, su Corso Rinascimento, dopo aver perso l’autobus, si fosse fermata a parlare con qualcuno che conosceva”.

La pista del tentativo di stupro 

Il giornalista esclude, a suo avviso, la pista del rapimento: “Io non credo. C’è ad esempio la testimonianza dell’amica Laura Casagrande, l’ultima ad aver parlato con Emanuela, con cui aveva fatto un tratto di strada all’uscita della scuola di musica. Casagrande si volta a guardarla varie volte e poi la perde. Possibile che in un posto come quello, con il Senato e le redazioni dei giornali a pochi passi, negli anni del terrorismo, si sia potuto operare un sequestro? Forse piuttosto ha seguito qualcuno”.

Pino Nicotri aggiunge un particolare: “La titolare dell’inchiesta, la magistrata Margherita Gerunda, seguì fin da subito l’ipotesi dell’omicidio dopo una violenza ma fu spostata dalle indagini il 18 luglio. Lei mi disse che erano sempre stati convinti che fosse un normale caso di violenza sessuale e che però era una cosa molto brutta da dire alla famiglia così si prendevano in considerazione anche altre ipotesi. Mi disse anche che non vedeva di buon occhio lo zio Meneguzzi perché era troppo protagonista, sembrava volesse sapere come andavano le indagini. Anche il magistrato successivo Sica sospettava di lui, lo faceva pedinare”.

“L’errore degli investigatori? Seguire la pista bulgara…”

Sull’intervista di un ex poliziotto che scagiona Meneguzzi, il giornalista è scettico: “Anche qui molte stranezze. Io credo che il poliziotto anonimo sia Pasquale Viglione che dopo la pensione si mise a lavorare pagato per ‘Chi l’ha visto?’”. E spiega i suoi dubbi: “Ci fu un primo errore, privilegiare la pista bulgara legata ad Alì Agca. Ha tenuto banco per anni, faceva comodo, c’era la guerra fredda e serviva a scatenare sdegno contro l’Unione Sovietica”.

Sono due le ipotesi secondo Pino Nicotri: “Quando ci sono casi di abusi finiti male, soprattutto quando vittima e carnefice si conoscono, ci sono due motivi per cui si tenta di occultare tutto. Il primo naturalmente è che non si vuole essere scoperti”, il secondo “la vergogna perché hai abusato di una fiducia, ad esempio della fiducia della famiglia Orlandi, perciò si fa sparire il corpo, come fu ad esempio il caso di Wilma Montesi ritrovata sulla spiaggia di Torvajanica. Poi venne fuori che era coinvolto il figlio di un esponente di primo piano della Dc”.

 

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