“Il rapper che canta l’inno al femminicidio”. Così scrive Repubblica parlando della polemica nata intorno al sindaco di Fratelli d’Italia di Ladispoli. Sindaco che, racconta il quotidiano, ha deciso di affidare il concerto in piazza di fine anno a Emis Killa, il rapper sotto accusa, e Gue Pequeno.
Secondo Repubblica “3 messaggi in segreteria”, una canzone di Emis Killa, è una “sorta di inno al femminicidio”. Letterale: “Una sorta di inno al femminicidio”.
Il quotidiano poi cita alcune frasi della canzone: “Preferisco saperti morta che con un altro. Vengo a spararti”. E ancora: “Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi, io ci ho provato e tu mi hai detto no. E ora con quella cornetta ti ci strozzerò”.
Da qui la polemica sulla decisione di destinare soldi e palco a lui. Ovviamente la notizia fa gola: un sindaco di Fratelli d’Italia, un rapper che parla di femminicidio. Non c’è dubbio. Ma non è un po’ semplice ridurre il tutto così?
Non volendo parlare della bellezza o meno della canzone. Né del testo.
Non volendo approfondire neanche la discografia, la carriera e la vita di Emis Killa però, ragionando così, allora bisognerebbe censurare tutti coloro che scrivono film, musica o libri con un punto di vista criminale.
D’altronde è la solita questione: bisogna parlare o no della criminalità? E come? Qual è il confine tra censura e libertà di espressione?
Ma non è compito dell’arte quella di esplorare i punti di vista anche i più crudeli e spaventosi? Quindi cosa dovremmo dire delle varie serie tv nostrane ma non solo: Gomorra, Il capo dei capi, Romanzo criminale. L’elenco come ovvio è più o meno infinito. Basterebbe sfogliare il catalogo di Netflix. Tutte insomma da considerare come una sorta di inno alla criminalità?
Lo stesso Emis Killa in passato aveva provato a spiegare il senso della canzone:
“In questa canzone racconto di un ragazzo che perde la testa per la ex fidanzata e decide di ammazzarla. Lo racconto dal punto di vista, malato, di chi ammazza. È il mio modo per sensibilizzare e denunciare il femminicidio. Ho scelto un metodo brusco, diretto, cattivo, e soprattutto in prima persona, perché so che è il più efficace e mi appartiene, e infatti si sta alzando un polverone, che è quello che mi aspettavo, per poter porre l’attenzione su uno degli aspetti più brutti di questa società. (…) Quando creo canzoni creo mondi, a volte colorati, a volte crudi. Nelle canzoni racconto la realtà, che a volte è orribile, a volte è sbagliata, ma mai possiamo far finta che non esista. Ho corso di proposito il rischio di essere frainteso perché il mio richiamo alla riflessione e alla consapevolezza non passasse inosservato, e l’ho fatto coi modi e le parole che sono mie. (…) Non temo assolutamente che qualcuno pensi ad emulare il personaggio che interpreto, sarebbe come temere che chi legge gialli poi diventi un serial killer”.
Resta la domanda: come si fa a semplificare tutta la questione con “una sorta di inno al femminicidio”?