Ma che città è diventata Genova? In un giorno solo il Tribunale dell’UE respinge il ricorso del grande imprenditore e finanziere Vittorio Malacalza, che chiedeva 865 milioni di risarcimento per avere subito danni dalla BCE nella vicenda della acquisizione della Carige, la ex banca mamma dei liguri, oggi assorbita da Bper.
E, nello stesso giorno, il processo che sta inchiodando tutta la classe dirigente genovese e ligure, in primis quella politica, ma anche quella imprenditoriale e l’altra, pubblico-amministrativa, diventa da “penale” “etico”, nel momento in cui le decisioni del gip e dei giudici rispetto alle richieste degli imputati-accusati di corruzione e scambio di voti in odore mafioso assumono più un sapore morale che processuale.
No alla scarcerazione e passaggio agli arresti domiciliari per l’ ex presidente del porto e amministratore delegato Iren, Paolo Emilio Signorini, “perché non ha compreso la portata delle accuse che gli rivolgono”, essendosi trincerato dietro un muro di silenzio.
No alla retrodatazione delle intercettazioni a carico di Giovanni Toti, presidente della Regione sospeso, agli arresti domiciliari, ma politicamente più che vivace grazie ai suoi ventriloqui assessori, ammessi al suo domicilio, perché in questo modo si cancellerebbe una striscia scottante di dialoghi telefonici per lui pesanti. Punito perché parla troppo da detenuto e detta ai suoi la linea politica, come se niente fosse?
Che città è nel momento in cui la decapitazione dei vertici sembra una nemesi totale? Come se non bastassero il presidente regionale, in detenzione come l’ex presidente del porto e il principale operatore portuale, quel gigantesco esemplare di self made man, Aldo Spinelli, come non bastasse la decapitazione della figura apicale della struttura regionale, Andrea Cozzani, capo gabinetto in Regione, ex sindaco di Portovenere, dove tutte le presunte malefatte sono incominciate, ecco che un incidente di salute blocca l’unico rimasto in campo, il sindaco Marco Bucci, costretto a un intervento d’urgenza, a una ospedalizzazione e ad almeno tre settimane di stop.
Bucci era l’unico rimasto in campo, se si considera che il commissario al porto, Paolo Piacenza, è indagato e quindi fermato nella sua operatività, che il presidente dell’Ente Bacini, Mauro Vianello, indagato e interdetto nella sua proessione, come Roberto, il figlio di Spinelli.
Cosa succede a Genova che, dopo il crollo del Morandi, si era risollevata in un balzo, ricostruendo una infrastruttura chiave per Genova, la Liguria, il sistema nord occidentale e europeo di collegamenti viarii?
Cosa succede al “modello Genova”, risorto da quelle macerie, grazie soprattutto a regole nuove, a Renzo Piano e a quel sindaco che gridava ogni mattina per spingere la ricostruzione e le altre opere, che potevano ridestare la città?
La stangata europea ai Malacalza, che nel 2018 si erano lanciati nel coraggioso salvataggio della Carige, la ex Cassa di Risparmio, braccio finanziario della Liguria, condotta in un incomprensibile dedalo di scandali da quell’angelo-diavolo del suo presidente-deus ex machina, Giovanni Berneschi, colpisce la famiglia ma fa riemergere un dato che tutti stavano rimuovendo.
La città, che fu Repubblica nei secoli d’oro della superpotenza navale e finanziaria, che inventò le banche e il tasso di sconto, che imprestò capitali perfino a Carlo V, ha perso la sua banca, con tutto il rispetto per chi è rimasto sulla piazza, a incominciare da banca Passadore, che quasi a sottolineare la sua centralità sta terminando nel cuore della città, nel quartiere di Piccapietra, la sopraelevazione di due piani della sua elegante sede, intorno alla quale continuano a fiorire filiali extraliguri.
E questo non è un segno da poco nella progressiva diminutio di ruoli e protagonismi. Si potrebbe dire che Genova non ha più neppure il cardinale, visto che il superiore dei frati francescani che oggi è arcivescovo della Superba, padre Marco Tasca, francescano di ordine ed anche di fedeltà a papa Bergoglio, non è stato insignito della berretta rossa e dei paramenti di principe della Chiesa.
Ma questo avviene anche a Milano, Torino, Venezia e altrove in Italia, nella politica di papa Francesco, che nomina i cardinali lontano da Roma, lontano dall’Italia. per costruire una chiesa universale e non romano-centrica, nella sua nuova politica pastorale e di un ecumenismo trasversale.
Ciò non toglie che la “decapitatio” stia diventando una specie di complesso strisciante, contrassegnata dal rilievo sostanziale rispetto a quello formale. Mancano i leaders un po’ in tutti i settori della società civile e non solo in quella piegata dalla crisi.
E la ciliegina sulla torta a questo la piazza di fatto il ruolo preponderante che sta assumendo nel “dominio” della città, Gianluigi Aponte, il grande armatore napoletano, di stanza a Ginevra, che da oltre Alpe governa di fatto i punti chiave della città a incominciare dai terminal portuali, alcuni direttamente, altri in società o con lo stesso Aldo Spinelli o con la famiglia Messina, altri grandi armatori che hanno attraversato tempeste e che con questo sagace e potentissimo ex comandante di nave, diventato leader ultramondiale, non solo nel settore armatoriale, sono riemersi nella città in cui erano coraggiosamente ritornati dopo la fuga a La Spezia, quando il monopolio dei camalli soffocava i loro traffici.
Non è una rievocazione inutile quella del viaggio a Ginevra di qualche anno fa della trimurti, oggi decapitata di Toti, Bucci e Signorini, al soglio di Aponte, con un stile che ricorda quello un po’ genuflesso di qualche secolo prima dei Dogi che andavano da Re Sole a impetrare per le loro cause.
E poi oggi Aponte si è compra “Il Secolo XIX”, il giornale di Genova, la voce di Genova, che fu dei Perrone, quando erano i padroni dell’Ansaldo e anche dopo, quando erano tra i pochi editori “puri” e poi fu oramai di Gedi, cioè degli Agnelli, che con la Fiat erano la “continuazione” di quello che era stata l’Ansaldo dei cantieri, delle navi, delle locomotive, degli aerei e di tutto il resto.
A fine luglio l’operazione “Secolo XIX” sarà completata e la nobile testata avrà una proprietà ginevrino napoletana e un direttore sul cui nome la città decapitata si litiga quasi scherzando in una roulettes di nomi.
Metteteci che anche l’aeroporto è nelle mani di un personaggio questa volta genovese di radici, ma di carriera strepitosamente mondiale, Alfonso Lavarello, che è un fedelissimo di Aponte e il cerchio “esterno” si completa.
Chi si potrebbe opporre a questa catena che porta fuori il destino di Genova, subordinandola a poteri esterni, fossero quelli giudiziari, quelli economici, perfino quelli papali?
Gli imprenditori prima di tutto. Ma loro ci hanno messo di tutto per respingere una leadership che oggi sarebbe stata fondamentale per lottare contro la decapitatio: nella corsa per la recente corsa alla presidenza di Confindustria erano partiti in due genovesi con grandi chance di successo, sia l’uno che l’altro..
Ambedue potenti e accreditati, Edoardo Garrone, leader Erg, campione delle energie rinnovabili, presidente del Gaslini ospedale e del consiglio di amministrazione di Sole 24 e Tonino Gozzi, presidente di Duferco, produttori e commercianti europei di acciaio e presidente di Federacciai.
Si sono eliminati a vicenda e Genova, che dopo sessanta anni poteva avere un erede di Angelo Costa, leggendario presidente della Ricostruzione postbellica, non ha nulla, solo qualche incarico secondario che assume un valore di obiettiva compensazione, come la presidenza delle Associazioni Armatoriali, con Mario Zanetti e Stefano Messina. E nada mas.
E allora cosa possono fare i genovesi, che non pescano in questi anni neppure intellettuali di spicco o grandi preti o grandi professionisti nelle pieghe della calante società civile e culturale, capaci di accendere polemiche e di conquistare scenari più ampi di quello dalla Lanterna al monte di Portofino? Avevano Edoardo Sanguineti, Gianni Baget Bozzo, Antonio Balletto? Avevano grandi medici come Vernetti, Battezzati, Loeb, Marmont, Santi e ora non ci sono neppure più le scuole in ospedali e Istituti Universitari sempre più stretti nei loro confini, anche grazie a politiche sanitarie deficitarie.
Vanno a votare per le Europee, senza avere neppure qui candidati di spicco genovesi e liguri che garantiscano una alta rappresentanza a Bruxelles nella circoscrizione Nord Occidentale. Possono consolarsi con la loro scuola di cantautori, che non muore mai. Basta infilarsi nei caruggi, sempre più invasi dai turisti della valanga, appunto overturistica, e ascoltare “Creuza de ma’”, il magico inno zeneise di Fabrizio De Andrè.
In fondo la musica, e poi quella di Faber soprattutto, è sempre consolatoria. E non possono neppure salire alla Madonna della Guardia, madre di tutti i miracoli, a raccomandarsi l’anima, perchè una tempesta di vento ha abbattuto sulla strada un grande albero e il santuario è isolato. Amen.
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