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Genova e Ligurie paralizzate, ma il Toti gate non ha spostato voti

Genova e la Ligurie paralizzate, ma il Toti gate non ha spostato voti: analisi degli effetti dello scandalo sulle scelte alle elezioni europee del 6 giugno.

Settantamila votanti in meno tra le recentissime Europee del 7-8 giugno e le Politiche del 2022, quelle della consacrazione meloniana. Sotto lo scacco dell’inchiesta giudiziaria contro il totismo e i suoi derivati, la Liguria passa da 733 mila voti espressi a poco più di 669 mila.

Fuga fisiologica, che porta la percentuale assente al voto al 50,1%, oppure risposta allo scandalo che blocca la Regione lanciata nella cavalcata impetuosa di Giovanni Toti, questo presidente capitato per caso nel 2015 in Liguria e poi trionfante nel processo di demolizione della Roccaforte rossa. Che garantiva dal fiume Magra ai confini francesi questa regione, votata in secula seculorum (salvo rare eccezioni) al governo della sinistra più alleati.

Mentre il Gip dell’inchiesta boom, Paola Puggioni respinge la richiesta dell’avvocato di Toti, Stefano Savi, a attutire la misura degli arresti domiciliari e, quindi, lo lascia nella sua residenza di Ameglia oramai da cinquanta giorni, l’analisi del voto e anche i confronti con le elezioni precedenti, quelle politiche del 2022, confermano che nessun effetto è stato prodotto dallo scandalo sulle scelte dei cittadini liguri.

Sembra che l’aumento dell’astensionismo sia stato in linea con la tendenza oramai consolidata ad ogni scadenza elettorale e non solo italiana.

La stangata a Toti e ai suoi non ha provocato praticamente nulla nel voto complessivo, tanto che, analizzando i numeri e non le percentuali, che sono fallaci, la Liguria vede primeggiare ancora il partito dei Fratelli d’Italia, anche se solo di tremila voti sul Pd, mentre Genova e Spezia rivedono un primato del Pd, che torna in cima, ma nella continua altalena di consensi che si è vista da anni e anni, con il succedersi dei successi dei 5 Stelle, della Lega, di Grillo e Salvini, quando primeggiavano a livello nazionale e innaffiavano anche la ex Roccaforte rossa, che Toti aveva smantellato quasi scientificamente, conquistando nell’ordine Liguria, Genova, Savona, La Spezia, perfino Sarzana, l’avamposto inespugnabile.

Le sorprese nell’analisi numerica dei voti sono più curiosità che elementi sostanziali nello spostamento degli equilibri: Fratelli d’Italia nel 2022 aveva 175 907 voti e oggi ne ha 167 mila. Ha perso? Il Pd aveva 166 mila voti e ora ne ha 164 mila. Ha perso anche questo partito che viene proclamato tra i vincitori?

Ha perso sicuramente la Lega, passata da 58 mila a 55 mila, mentre ha guadagnato Forza Italia, da 40.121 a 52 mila 724 e ha straguadagnato la Alleanza di Sinistra. più i Verdi, volati da 31 mila a 48 mila, mentre affondano allo stesso livello Stati Uniti d’Europa e Azione, che più o meno pareggiano il risultato complessivo del 2022, con circa 45 mila voti.

A Genova e provincia l’analisi è più complessa e gli spostamenti sono meno consequenziali. Il Pd a 96.776 stacca Fratelli d’Italia a 81.282, mentre la Lega è al 24.987, Forza Italia a 25.703 e i 5 Stelle un po’ sopra, a 37 806. Ma a Genova città il Pd primeggia a 68.123, Fratelli d’Italia si ferma a 47.228, Forza Italia al 14.532 e la Lega al 13.834, Azione al 9.697 e Stati Uniti a 8977, mentre l’Alleanza di Sinistra vola al 20 954.

Il raffronto con le Politiche nella città di Genova, mettendo insieme il Ponente della Città e il Centro est, con un’operazione quindi di calcolo un po’ diversa, sottolinea un ondeggiamento mai decisivo, semmai la conferma dei dati nazionali. Fratelli d’Italia tra il Ponente e il Centro Est di Genova era a 196 mila voti nell’anno del trionfo Meloni , la Lega era già giù, a 82 mila, Forza Italia a 55 mila, mentre il Pd a 180 , i 5 Stelle a 111 mila, spiegati dal risultato in una elezione politica e la Sinistra più i Verdi a 38 mila, mentre il centro di Calenda e Renzi, allora posticciamente insieme, sfioravano 14 mila.

C’è una roccaforte rossa ricostruita a Genova in questi un po’ acrobatici raffronti? Il fluido cangiante dei voti dice solo che il Pd è tornato il primo partito, ma i suoi voti sono meno di quelli delle elezioni politiche, come quelli di Fratelli d’Italia sono inferiori alla tornata del 2022.

Il centro non avanza per nulla e la Sinistra radicale e verde è l’altra costola che potrebbe legittimare una lettura da possibile Roccaforte rossa.

Sono questi gli unici dati, insieme al sostanziale equilibrio tra Lega e Forza Italia, a segnare un po’ il dato ligure e genovese, marchiato, comunque, dalla fuga di quei settantasettemila voti. Nelle politiche del 2022 il presidente della Liguria, oggi stoppato, si era presentato a livello nazionale da solo con una lista che raggruppava i suoi “Noi moderati”, Lupi e il sindaco di Venezia Brugnaro. Il suo risultato era stato misero, sia in Liguria che a Genova, 15 mila voti in Regione, 2760 nella Genova di Ponente e 5 mila nella Genova di Centro est.

Questi voti del “capo” non sono più leggibili, perché alle Europee la lista “moderata” non c’era.

Parte di quei suffragi è stata probabilmente inghiottita dal miglior risultato di Forza Italia e nel calderone di Fratelli d’Italia, magari anche un po’ nelle liste perdenti di Renzi e Calenda.

Polverizzati, ma non certo per lo scandalo, piuttosto per l’assetto diverso delle liste e per il tipo di consultazione, così diversa.

Il fatto che si sia votato pochissimi giorni dopo la deflagrazione dell’inchiesta giudiziaria non sembra, quindi, avere avuto effetti sul responso delle urne.

Il flusso dei voti ex totiani anche secondo l’autorevole Istituto Cattaneo di Bologna si è sparpagliato, così come quello acquistato dal Pd è in qualche modo il ritorno allo zoccolo duro della ex roccaforte rossa, che per decenni i partiti di sinistra si erano costruiti.

L’altra segnalazione importante di questa analisi riguarda il Movimento 5 Stelle, che ha “regalato” la maggior parte dei suoi consensi alla area sempre più vasta dell’astensione e forse in qualche piccola misura allo stesso Pd, più che alla alleanza di Sinistra-Sinistra.

Gli effetti del tornado giudiziario sono, invece, più che visibili nello status quo della Liguria, a cinque settimane abbondanti dopo gli arresti del 7 maggio: la Regione e Genova, che appaiono paralizzate, anche se la continuità della amministrazione regionale viene conclamata da Alessandro Piana, il vice presidente della Regione facente funzione, che ha anche visto approvare in Consiglio regionale un finanziamento di 57 milioni per la famosa diga portuale.

Il no alla libertà del Gip per Toti aggiunge, invece, una grande incertezza, perché è chiaro che il presidente non intende dimettersi e ora punta entro 10 giorni a chiedere al Tribunale del Riesame di metterlo fuori con il rischio, però, che un rifiuto diventi pesante nello sviluppo di tutto il processo.

Ma sotto questo vestito apparente la situazione è quasi paradossale.

C’ un presidente arrestato, e chiuso a doppia mandata ora ai domiciliari che, però, “regna” politicamente dal chiuso della sua residenza, intanto con l’atto politico di non dimettersi. C’è una maggioranza, che fa finta di niente, ma che è trapassata dalla stasi di tutti i suoi meccanismi. L’assenza di Toti al centro sta facendo emergere tutte le grandi questioni che il suo frenetico attivismo alimentava. A incominciare dalla Sanità, della quale è sbucato il deficit di 228 milioni di euro, il segnale di una emergenza mai veramente affrontata, se non verbalmente.

E intorno tutte le connessioni di potere, che il presidente garantiva si sono come interrotte. In porto , che era commissariato dopo la partenza per Iren di Paolo Emilio Signorini, è arrivato il commissario bis, un ammiraglio, Attilio Seno, che prende il posto di Paolo Piacenza, che si è dimesso, ma si è anche mantenuto il ruolo di segretario generale dell’ente Autorità portuale al centro della tempesta per le concessioni, pietra dello scandalo, che inchioda gli imputati del processo e alimenta il nocciolo delle indagini.

Commissari e subcommissari a parte, l’autorità portuale è paralizzata e questo vuol dire che non è ferma solo Genova, ma anche Savona e Vado, dove pende, tra l’altro, la grande questione del rigassificatore che Toti aveva affibbiato a quell’area tra polemiche molto aspre.

Sembra , quindi, che tutta la partita sia nelle mani della politica maggiore, dei leader nazionali e della Meloni, che in questi giorni ha ben altro da fare che non occuparsi delle dimissioni di Toti. Lo costringeranno a dimettersi o ingaggeranno una resistenza, mentre le opposizioni già affilano le armi per elezioni regionali anticipate al 6 ottobre?

Certo è che la stangata non ha modificato un risultato elettorale la cui sentenza diretta più pesante per la Liguria è che oggi è stato votato un unico europarlamentare di provenienza ligure, Brando Benifei, Pd, spezzino, confermato per il terzo mandato.

Franco Manzitti

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