Genova, i lavori per la nuova diga foranea del porto almeno per ora vanno avanti. Nonostante il Totigate. Lo garantisce Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, maggioranza del consorzio appaltatore PerGenova Breakwater, costituito da Webuild (40%), Fincantieri(25%), Fincosit (25%) e Sidra (10%). Il progetto della diga di Genova è una grande infrastruttura del Paese e vale 1,33 miliardi.
Tra una settimana, anticipa Salini a Andrea Ducci del Corriere della Sera, il 24 maggio, “avverrà la posa del primo cassone sulla base della diga, un manufatto alto come un palazzo di 10 piani. La diga è un’opera complessa, parliamo di un cantiere in mezzo al mare per realizzare una struttura lunga 6 chilometri. Sarà un’infrastruttura che consentirà di allargare il porto, garantendo così l’ingresso a navi lunghe 400 metri”.
Non solo, ma salverà Genova, che nella parte antica è sotto il livello del mare, da uno degli effetti del cambiamento climatico, l’innalzamento del livello del mare.
Obietta l’intervistatore che una delibera dell’Autorità anticorruzione (Anac) ha sollevato una serie di rilievi sull’affidamento dei lavori. Risponde Salini che “la delibera dell’Anac, l’avvocatura generale dello Stato l’ha impugnata di fronte al Tar del Lazio, stabilendo la correttezza della procedura seguita per l’assegnazione del contratto e contestando l’erroneità delle argomentazioni dell’Autorità. L’assegnazione del contratto per la diga è tra l’altro avvenuta in base a una normativa ad hoc varata dal Parlamento, in linea con le norme comunitarie, a seguito di una gara aperta a tutti. E il consorzio PerGenova Breakwater ha vinto dopo una competizione serrata, con l’offerta migliore e il prezzo più basso”.
L’Anac, incalza Ducci, contesta che nelle grandi opere le varianti, con conseguente aumento dei costi, sono ormai la prassi. Perché le varianti sono frequenti?
Risponde Salini: “Per una questione di progettazione rispetto allo stato dei luoghi. Spesso la progettazione non tiene conto delle difficoltà che si incontrano sul posto e si vorrebbe che i costruttori assumessero gli oneri, i rischi e i costi delle varianti senza essere pagati”.
Nel caso di Genova cosa ha fatto aumentare i costi?
“Nel progetto dell’Autorità portuale i fondali non corrispondevano allo stato reale, poiché degradano alcune dozzine di metri in più rispetto a quanto indicato. Quel fondale va riempito e chi si assume il rischio di fare quel lavoro è corretto che sia pagato. Se, per esempio, aumenta il costo dei carburanti è pacifico che gli automobilisti paghino la benzina più cara, oppure continuano a pagarla sempre lo stesso prezzo? Nel caso del costruttore un bizzarro abito mentale legittima l’idea che i rincari siano a suo carico. Aggiungo un elemento: le varianti sono imposte dalla legge, se c’è una difformità rispetto al progetto deve essere riconosciuta, misurata e pagata”.
Lei si vedeva con il governatore Toti e il sindaco Bucci per discuterne. Cosa chiedevano?
“Negli ultimi anni a Genova abbiamo ricostruito il ponte in tempi record, lavorando fianco a fianco con le istituzioni della città. Chi amministra Genova e la Liguria ci ha sempre rappresentato le esigenze di una realtà che considera il porto un’infrastruttura vitale. E tutti dicono questo, non solo Toti e Bucci”.
Conclude con orgoglio Salini: “Webuild è il più grande gruppo di costruzioni italiano e rappresenta un asset per il Paese e per il governo. Noi non chiediamo favori a nessuno, non paghiamo nessuno, non abbiamo nessuna relazione o dipendenza dalla politica: partecipiamo a gare pubbliche europee e vinciamo. Webuild è un gruppo che cresce, lavora in cinquanta Paesi con oltre 87 mila persone e una filiera di 19 mila imprese. Un gruppo globale che realizza il 70% del fatturato all’estero. E a chi in Italia ci rimprovera di fare tutto, vale ricordare che il nostro 30% di fatturato rappresenta una quota del mercato domestico pari al 2%”.