Genova, profilo di Aldo Spinelli, da mozzo di Ravano a padrone del Genoa ai domiciliari per Toti

Genova per voi, profilo di Aldo Spinelli, da mozzo di Ravano a padrone del Genoa, 80 anni di carriera finiti ai domiciliari. Ride sempre, anche quando dopo sei giorni di un improvviso, inatteso, imprevedibile arresto, compare a Palazzo di Giustizia per affrontare il suo imprevisto, imprevedibile, inatteso interrogatorio come imputato, capitato nella più sconvolgente inchiesta giudiziaria degli ultimi anni genovesi.

Sorride allo stesso modo di sempre quest’uomo di 85 anni, origine calabrese, successo genovese strepitoso, celebrità incontestabile, il più grande modello di self made man che si possa immaginare.

Ha incominciato a 19 anni, trasportando pezzi di legno su un Ape, orfano di un padre nostromo, morto nel naufragio della “Bonitas”, al largo dei Caraibi, nave da carico della flotta Ravano, armatori che allora, anni Sessanta, avevano 65 navi.

Sorride meno quando racconta che dopo quella sciagura a lui, imbarcato come mozzo su un’altra nave Ravano, gli armatori promisero: “Quando avrai bisogno, chiedi a noi, ti saremo sempre vicini!!”

Ebbe bisogno di un finanziamento di 30 milioni, dopo gli inizi con l’Ape e il legno, di investire nella sua piccola azienda di trasporti e chiese a uno dei grandi armatori di quella famiglia, potente e influente. “Non mi diedero niente, tergiversarono e alla fine rimasi a mani vuote…..”, ha raccontato proprio senza sorridere.

Ce l’ha fatta da solo a diventare uno degli imprenditori del trasporto più importanti d’Italia, mille autocarri, Tir, camion, gru, una flotta gialla che gira l’Europa, facendo viaggiare container e merci, ma poi tutto il resto, autoporti ovunque, banchine, i terminal e le darsene preziose di Genova, che ora lo hanno messo nei guai grossi.

Camion e Tir gialli, perché quello è il colore che a lui porta fortuna, come le sciarpe gialle per andare a vedere il suo Genoa, acquistato nel 1985 da un altro self made man ma del settore edile, Renzo Fossati, quello che si presentava al Papa dicendogli “piacere Fossati” e si vantava perché il suo Genova era la prima squadra ad avere usato un “volo charleston”.

Giallo come le maglie di riserva della squadra rossoblù, fatte indossare da quel patron, improvvisamente diventato padrone della società di calcio più antica d’Italia “Genoa Criket and foot ball club”. Sorrideva, annunciando quell’acquisto improvviso del gioiello del calcio e lo spiegava alla città è ai giornali nel suo italiano un po’ maccaronico: “Essendo che la gente dice che ho comprato il Genoa, volevo confermarcelo!”,  disse al giovane capocronista de “Il Secolo XIX”, allora potente giornale della città.

La mediazione tra l’impresario Fossati e l’autotrasportatore Spinelli l’aveva fatta Cesare Lanza, direttore allora de “IL Lavoro”, dopo essere stato l’enfant prodige de “Il Secolo XIX”.

E rideva, Spinelli, perché stava arrivando la fama, quella vera, che i camion gialli, la sua flotta e i suoi affari in crescendo non gli avevano ancora fatto conoscere. Ma il calcio è un bel traino e in quegli anni i presidenti possono cavalcare un successo esplosivo di notorietà, monopolizzata da tifoserie affamate e media ancora controllabili, altro che i social di oggi.

Abitava a Pegli 2, che è un quartiere moderno, un po’ nazional popolare, del Ponente genovese, alle spalle dei depositi di petrolio che sono ancora là e gli sembrava il paradiso, accanto a sua moglie Leila, che è mancata due anni fa e lo ha lasciato con il figlio Roberto, ragazzo calmo e riflessivo e ottimo imprenditore in una azienda che cresceva, che cresceva.

L’opposto caratterialmente del padre. Ma anche lui finito nel gorgo dell’inchiesta, anche se in una posizione meno grave.

Dal Genoa, fonte di successo, fama ma anche dolori e contestazioni, era arrivato il suo lancio, la celebrità Tv, come per esempio le comparsate al “Processo del Lunedì” di Aldo Biscardi, Rete Tre, dove sempre ridendo pronunciò la battuta che è rimasta almeno a Genova “storica”.

A Biscardi, che gli chiedeva le ragioni della solidità della sua squadra e della sua società, rispose con un eloquente gesto di accompagnamento: “Perchè ho due avvocati vice presidenti con due coglioni così” .

Alludeva a due grandi professionisti, gli avvocati e professori universitari, Andrea D’Angelo e Sergio Carbone, caratterialmente l’opposto di Spinelli, sobri, riservati, espertissimi, di poche e sagge parole. Ma di grande caratura genovese e internazionale.

Fino alla sberla improvvisa dell’inchiesta penale quella di Spinelli è stata la cavalcata inarrestabile di un grande imprenditore senza freni imprenditoriali e con una verve umana travolgente. Gli affari sono cresciuti a dismisura, passando per operazioni ardite e sempre redditizie, come l’acquisto e poi la vendita della “mitica” collina degli Erzelli, un piccolo altopiano sopra l’aeroporto genovese, dove secondo Renzo Piano c’era il più bel cielo di Genova e dove Spinelli, pagando qualche milione portò una montagna di container dei suoi traffici, acquistando il terreno in parte da Sandro Biasotti, presidente della Regione per il centro destra, altro self made man del trasporto. Coraggioso come Spinelli, ma sicuramente meno naif.

Rivendendo quell’ Eldorado di spazi sul tetto di Genova a GHT la società-consorzio, che voleva trasformare Erzelli in una Sophiantipolis genovese, nell’idea geniale di Carlo Castellano, ex manager Irì, diventato dopo la gambizzazione Br subita nel 1977, un grande imprenditore del futuro, Spinelli fece un bel gruzzolo per incrementare i traffici e rafforzare terminal e banchine nel porto di cui fino ad allora era stato sopratutto trasportatore.

E i container della collina furono trasportati nelle ex aree Ilva di Cornigliano, che inizialmente lui pagava in concessione tre euro a metro quadrato, finendo poi a pagarli 17, tra mille polemiche cittadine.

Ma Spinelli era già Spinelli, il Genoa con l’allenatore Bagnoli al quarto posto in Serie A e in Europa, con giocatori super acquistati come Pato Aguilera, Thomas Skhuravy e Stefanio Eranio, mentre la Sampdoria vinceva lo scudetto in una città delirante di calcio. Spinelli usava e usa la politica con il criterio reso famoso da Enrico Mattei: un taxi su cui salire per ottenere i propri obiettivi e poi scendere. Così era nato il feeling (che trasversalmente dura ancora ) con Claudio Burlando, enfant prodige del fu Pci genovese sul quale scio Aldo puntò giustamente, perché quel leader di orgini “camalle”, divenne addirittura Ministro dei Trasporti.

Spinelli puntò poi anche su Giovanni Prandini, il bresciano che da ministro dei Trasporti contribuì a privatizzare il porto di Genova, rompendo il monopolio dei camalli.

Prandini era Dc doc e, prima di una fine politica ineluttabile con Tangentopoli, affidò a Spinelli la presidenza dell’Autostrada Torino-Bardonecchia. Spinelli ricambiò nominando vice presidente del Genoa un amico bresciano Andrea Bonetti, già eurodeputato.

Dal taxi targato Dc il presidente del Genoa scese per salire su quello socialista-repubblicano, accettando di fare il consigliere comunale del PRI a Genova. Inarrestabile e come una meteora, perché l’esperienza in Comune sarebbe durata poco.

Troppi affari tra le banchine e i trasporti nelle continue evoluzioni dei traffici e del porto di Genova, trasformato dal ciclone di Roberto D’Alessandro, il manager craxiano doc e poi da Rinaldo Magnani, il presidente del Cap supersocialista e di origini ultrapopolari, come quelle di scio Aldo.

Nella cavalcata inarrestabile arriva l’addio al Genoa, non senza amarezza per le contestazioni finali di tifosi delusi, dopo la sbornia di successi europei e il nuovo impegno calcistico con l’acquisto del Livorno calcio, altra squadra strategica per il porto e gli affari della città, che attirano il genovese scatenato.

Comunque con Spinelli il Livorno raggiunge la serie A e la presidenza dell’imprenditore genovese durerà più di dieci anni, in un saliscendi tra le diverse serie A, B e perfino C, in una altalena di amore odio con i tifosi labronici.

Ma sempre sorridendo, come scrisse in un famoso commento sulla poliedrica figura di scio Aldo un mitico giornalista calcistico Vladimiro Caminiti, che lo immortalò così su Tuttosport : “Il presidente Spinelli con il suo sorriso a salvadanaio.”

Definizione profetica per quello che sta avvenendo oggi ben lontano dal mondo del calcio, in una dimensione nella quale Spinelli appare un po’ il supercorruttore e un po’ la vittima della politica e della burocrazia portuale, lente e pelose nel concedere permessi e concessioni.

Ma intanto Spinelli, che nel calcio un salvadanaio in fondo non lo era tanto, avendo venduto i migliori calciatori di uno dei Genoa più forti della storia recente, continuava come un carro armato. Fino a oggi, cioè fino a 84 anni, lui arrivava e arriva in banchina alle 6 di mattina per controllare scarichi e imbarchi.

Poi magari, dopo l’ufficio al bordo delle banchine, era capace di tornare a casa a piedi per ragioni di salute, magari passando dal parrucchiere di fiducia per farsi aggiustare i capelli, ogni giorno, come in uno dei suoi riti scaramantici.

Quando a Genova arrivò in visita ecumenica il Berlusconi trionfante degli anni Novanta l’unico a provocarlo, tra sorrisi e facce più scure in un gruppo di imprenditori, davanti agli schermi di una Tv regionale importante, “PrimoCanale”, fu proprio Aldo Spinelli: “Mi sembra, presidente, che non fai quello che hai promesso per le medie e piccole imprese!”, gli disse senza peli sulla lingua, incassando la pepata risposta del Cavaliere: “Mi parli così perchè il mio Milan ha battuto il tuo Genoa. “ Scambi quasi esilaranti, mentre il taxi su cui correva ancora Spinelli era quello del centro sinistra di Burlando, deus ex machina a Genova e anche a Roma.

Ma poi è cambiato tutto, quando il regno di Burlando è finito, dopo le sventolate del centro culturale di “Maestrale” la fondazione rispetto alla quale il salvadanaio di Spinelli si era aperto eccome, come emerge anche in questi giorni ai margini dell’inchiesta penale e nelle testimonianze che attirano nel gorgo il centro destra della ex triade Toti-Bucci-Signorini.

Al posto di Burlando è arrivato effettivamente Giovanni Toti con cui Spinelli impiega poco tempo a trovare una sintonia, non solo da salvadanaio. Il terzetto Toti-Bucci-Signorini è il taxi più comdo che scio Aldo può trovare negli anni della sua trionfante terza (o quarta età?…). Gli promettono di realizzare la Superdiga, sogno della sua vita, gli allungano le concessioni, come se non ci fosse un domani.

E con Paolo Emilio Signorini si crea anche una amicizia stretta, tra lo Spinelli cavalcante che nel frattempo ha ceduto il 49,1 per cento del suo gruppo al colosso dell’Hapag Llyod, per la modica cifra di 300 milioni e quell’ex funzionario ministeriale dello Stato, improvvisamente proiettato in alto, sulla poltrona di san Giorgio, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale da Genova a Savona-Vado.

“Ci hanno dato una barcata di soldi”, si legge nelle intercettazioni succose fin troppo dell’inchiesta della Procura di Genova.

E quel dirigente portuale, ex funzionario di Stato un po’ grigio, che il successo sta montando come la panna del super lusso e della hig society monegasca, tra super escort, fiches e tavoli verdi, e hotel supersmart che gli vengono offerte, ci sguazza eccome nella compagnia nuova che ha scoperto fuori dalle banchine di Genova e Savona. Si trovano, si aiutano tra belle ragazze, il Casinò che è sempre stato la passione di Aldo, la “pallina” che ha preso il posto del “pallone” calcistico.

Spinelli è generoso ma anche furbo. Continua a sorridere come quando entra e esce dagli interrogatori in attesa di una libertà che vuole ottenere dalla Gip Paola Faggioni e che giura di meritarsi “perché ho detto tutto…… ho risposto a tutto.”

Inguaia il presidente Totii con le rivelazioni sulle pressioni ricevute dal presidente ligure per ottenere un vantaggio dalle concessioni allungate a dismisura. Ma sarà vero che il presidente è stato così insistente, quando chiedeva di “buttarsi in barca, sulla Leila II, ordinando al capitano patate e caviale con champagne con una strisciante allusione anche un po’ sessista?

Le intercettazioni sono quasi esagerate nell’affibbiare questo ruolo di vittima delle richieste politiche allo Spinelli ottantenne ma ancora in smagliante forma? Si preme sull’acceleratore dell’ultimo taxi, forse troppo?

Ora Spinelli sta nella sua prigione dorata nel Levante genovese, Villa Carrara, una magione fantastica in riva al mare e circondata di prati verdi, ben diversa dalle case di Pegli 2, tra i depositi del Porto Petroli, che, però, ha sempre rimpianto, non dimenticando le sue radici.

Chi gli è vicino, al di là del muro degli arresti domiciliari? Chi teme le sue esagerazioni, gli estremi di una vita scatenata per quell’età avanzata: le battaglie portuali, ma anche le ragazze giovanissime, le frequentazioni monegasche in quel mondo dorato dei week end, dove non c’è più il calcio?

Il figlio Roberto, preoccupatissimo, al punto di lasciarsi scappare che da tempo pensava a un amministratore di sostegno per impedire al padre troppe “esuberanze “ finanziarie, come quelle a vantaggio del prode Signorini, che dall’Hotel de Paris con fiches sul comodino è passato alla cella del carcere di Marassi in coabitazione con un uxoricida.

Impossibile pensare a un sostegno per quest’uomo che aveva cominciato come mozzo su qualche “bagnarola” anni Sessanta in giro per i mari del mondo e ora, quando arriva a Montecarlo gli spalancano tutto, alberghi, beach con tenda e massaggi a botte di 7 mila euro a wek end.

Ha sempre avuto consiglieri di gran classe intorno, non solo gli illustri avvocati D’Angelo e Carbone, con il compito quasi impossibile di trattenerlo, ma anche Augusto Cosulich della nobile schiatta armatoriale genovese e triestina, amico fidato (e ora ultra preoccupato), uno dei pochi imprenditori marittimi capaci ancora di crescere e investire partendo da Genova.

E che con Spinelli ha fatto anche sempre la parte del fratello solidale, ma anche critico e che gli ha insegnato a comportarsi nella ingessata società genovese, in quell’ establishment zeneise, tutto understatement, circoli chiusi, blazer blu, dove Spinelli si presentava con la calze bianche e senza cravatta. Ma almeno sempre sorridendo. Fino a questo imprevedibile, inatteso splash, non nella piscina di Montecarlo, ma davanti ai giudici genovesi.
 
 
 
 
 

Published by
Franco Manzitti