Genova, possibili effetti collaterali della retata in Regione e al Porto: blocco della diga, crisi del traffico

Patapum! Il castello costruito pietra su pietra da Giovanni Toti nell’arco di nove anni di dominio incontrastato, in un incrocio di potere istituzionale con quello economico, prevalentemente portuale, crolla di colpo. Mica tanto di colpo, però, che le indagini andavano avanti tra La Spezia e Genova da tre anni e i rumors erano sempre più alti da tempo, non solo nel palazzo di Giustizia di Genova. Dove non c’era solo il processo Morandi con i suoi tempi infiniti….

Si è mossa praticamente tutta la Procura della Repubblica, compreso il nuovo capo, Nicola Piacente, e i colleghi di La Spezia per costruire con la Guardia di Finanza un capo di imputazione molto frastagliato, di accuse per ora diffuse solo in fase embrionale in una lunga ordinanza alle cui spalle però ci sono 640 pagine di verbali e 4 anni di intercettazioni e pedinamenti, che scuotono dalle fondamenta quel castello.

Perché colpiscono tutto il sistema di potere ligure e genovese che si era “accroccato” in sequenza continua, dalla roboante estate del 2015 della inattesa vittoria totiana alle elezioni regionali, fino a quel pranzo di dieci giorni fa, nel quale Toti aveva ricevuto 630 ospiti paganti almeno 450 euro l’uno, per un banchetto a base di carciofi e vermentino con lo scopo di finanziare le casse della sua formazione politica “Noi moderati”, che aveva raccolto in un colpo oltre 350 mila euro.

Le fondamenta tremano perché nei guai insieme al presidente, preso in albergo dai finanzieri a Sanremo, dove si apprestava a un meeteng con Flavio Briatore per lanciare una nuova iniziativa turistica a XX miglia, e portato agli arresti domiciliari nella sua residenza genovese, poi in quella di Ameglia nello spezzino, mentre i suoi uffici venivano passati al setaccio dai finanzieri al comando del capitano Fiducia ( una parola una garanzia?), c’è finito Paolo Emilio Signorini, unico in carcere a Marassi, in cella con un uxoricida, oggi ad di Iren, ieri presidente dell’Autorità di Sistema Portuale di Genova e Savona, evidentemente l’imputato numero uno, il nocciolo dell’inchiesta visto che è l’unico dietro le sbarre.

Gli altri 35 coinvolti sono a casa, costretti ai domiciliari, oppure con obbligo di presentarsi in Questura ogni giorno, oppure interdetti alla loro professione come il figlio di Spinelli, Roberto o come il presidente Ente Bacini Vianello. Freme ai domiciliari come un leone in gabbia l’altro arrestato eccellente, l’ottantaquattrenne Aldo Spinelli, un monumento genovese del porto e dell’autotrasporto, nonché ex presidente del Genoa e del Livorno, imprenditore self made man di grande capacità, efficienza e di spericolate alleanze, prima di tutto appoggiato a sinistra, oggi tutto a destra.

Spinelli ruggisce, bloccato nella sua meravigliosa residenza di Genova Quarto, Villa Quartara: non è il finale di carriera che immaginava questo superterminalista ,diventato un gigante nel suo settore, socio anche di Luigi Aponte, “il comandante” che ha oggi tanti interessi a Genova, compreso “IL Secolo XIX”, che sta acquistando da Gedi con un colpo di scena inatteso.

Il quadro delle accuse, fornito in quel chilometrico comunicato della Guardia di Finanza e ogni ora rinforzato da esplosive e incontrollabile indiscrezioni, svaria dall’accusa di scambio di voti mafiosi, alla corruzione secca per ottenere concessioni in porto, alla pubblicità di Esselunga diventata “tangente” sui maxi schermi del Grattacielo di piazza Dante, ombelico di Genova, ad altre agevolazioni per operazioni immobiliari in Riviera, perfino a clamorose spese voluttuarie in favore di Signorini, cui Spinelli avrebbe pagato le oramai strachiacchierate 22 notti in suites di lusso a Montecarlo, gioielli per terzi ( o terze?), biglietti per tornei di tennis e perfino fiches da giocare sul tavolo verde del Casino, nonchè un viaggio a Las Vegas, con carta di credito “imprestata” dal vecchio leone.

Tutto per “pagare”, secondo l’accusa, gli aiuti ottenuti nella concessione di preziosi terminal, prolungata, in un caso, fino al 2051.

La cifra che “brucia” per Toti, in quanto l’avrebbe ricevuta da Spinelli, è quasi ridicola, 74 mila euro in più occasioni. Meno ridicola se gli si aggiungono i 175 mila euro che avrebbe ricevuto dalle ditte di trattamento rifiuti Colucci, attraverso la sua fondazione Change. .

Ma il gorgo delle possibili accuse, tutte da provare, ma tali da far scattare la maxi operazione tanto clamorosa come quella del 1983, nella quale furono arrestati un altro presidente della Regione, Alberto Teardo e i suoi scudieri, in una vicenda che passò alla storia come Pretangentopoli, sembra andare ancora più in profondità

Soprattutto nella costola spezzina, dove il protagonista negativo è Matteo Cozzani, capogabinetto di Toti, ex sindaco di Portovenere, un po’ l’anima nera di tutta la storia, la miccia che ha fatto scoppiare l’incendio, trasferito a Genova come dirigente regionale, dopo avere favorito parenti e amici in delicate operazioni immobiliari e nautiche.

E’ forse lui l’uomo-chiave di tutto lo scandalo, quello sulle cui piste si sono mossi, quasi quattro anni fa, i segugi spezzini della Procura, trovando spunti che poi, comunicati a Genova, hanno fatto partire l’intera Procura locale.

E’ questo il capitolo dell’inchiesta che svela i rapporti di Cozzani per ottenere voti di scambio con una comunità riesina, insediata a Genova, che prometteva appunto centinaia di voti ai candidati delle ultime elezioni regionali, quelle che hanno inaugurato il secondo mandato di Toti. In cambio di posti di lavoro e case popolari. E a favore di nomi importanti della galassia totiana.

Genova si è trovato scossa come da un terremoto da questa sberla giudiziaria, che non ha precedenti per la ampiezza e la complessità delle accuse, anche se le dimensioni fin’ora profilate delle “tangenti”, che avrebbero giustificato la pesante accusa di corruzione, sopratutto per il presidente Toti non sono eclatanti.

Si tratta di somme che l’ex delfino di Berlusconi avrebbe per la prima parte almeno comunicato e poi certificato nel suo bilancio come contributi elettorali, seguendo le regole della legge che ha sostituito quella del finanziamento dei partiti.

Il nodo per questa posizione è se ci sia stato lo scambio tra la “dazione“ (così si chiamava ai tempi di Tangentopoli) e la concessione di vantaggi illeciti da parte del presidente. Questo va provato e sarà il processo dirlo. Intanto tuoni, fulmini e saette.

L’interrogatorio di Toti da parte della Procura è già stato fissato e nella sua attesa il leader al centro di questo “sistema” sotto accusa attraverso il suo avvocato, Stefano Savi, continua a dichiararsi “tranquillissimo” e in grado di spiegare tutto con chiarezza.

A pesargli contro sono per ora le intercettazioni, che in attesa di una loro regolamentazione, annunciata e mai concretizzata, stanno piovendo come grandine . E in queste Toti promette, annuncia, collega permessi a aiuti economici, in modo abbastanza esplicito.

“ Quando andiamo a mangiare il caviale con patate sulla tua barca e così ci mettiamo d’accordo su quella operazione, ma poi vi ricordate di me……”, dice a Spinelli, in una di queste telefonate…

Prima di lui è stato interrogato Signorini, che si è avvalso della facoltà di non rispondere. A Spinelli toccherà la prossima settimana. Intanto nella sua abitazione i finanzieri hanno sequestrato 220 mila euro in contanti, più sacchetti di dollari e sterline, considerati una parte di quei 540 mila che la Gip, Paola Faggioni, ha chiesto in deposito, come misura cautelativa rispetto al prezzo della corruzione.

Al di là della giungla o della boscaglia di ipotesi corruttive che l’ordinanza e poi le carte dei giudici fanno immaginare, il colpo che ha scosso la città sta provocando tutta una serie di reazioni negative sempre più pesanti.

E’ come se il vento positivo che era partito dalla ricostruzione del Ponte Morandi e poi dal ventaglio di grandi operazioni di lavori pubblici che, spinte sopratutto dal sindaco Bucci, stavano facendo “muovere” Genova, fosse improvvisamente girato contro.

Lo stesso sindaco sembra completamente sotto choc e non è riuscito neppure a manifestare una vicinanza umana a Toti, di cui praticamente era il “gemello” in questi anni forse un po’ troppo vissuti in modo cavalcante, come di condottieri, in grado di cambiare il destino della Superba dopo anni bui.

Nascono dubbi non solo sul futuro della Regione, dopo lo strappo di Toti che lascia la gestione provvisoria a Alessandro Piana, il suo vice leghista, non certo una figura autorevole. E tremano i grandi progetti, i grandi cantieri, molti già in piena azione che dovevano cambiare Genova e la Liguria.

A incominciare dalla super costruzione della maxidiga portuale che avrebbe mutato il volto del porto, oggi gravemente messo in discussione per quelle concessioni firmate da Signorini, su richiesta di Spinelli, con le contropartite perfino irridenti delle suites gratuite, dei gioielli regalati alle accompagnatrici del presidente portuale.

Inoltre quella diga era già stata messa nel mirino dal Ente Anti Corruzione, con pesanti osservazioni, che oggi potrebbero tornare a galla, spinte dalla max inchiesta della Procura.

Non solo: Toti è anche il commissario per il rigassificatore da piazzare nel porto di Vado, operazione delicatissima e molto contrastata. Ed è pure commissario per gli insediamenti tecnologici in Valpolcevera.

Intanto gli indagati salgono a 35, con l’aggiunta tra gli altri, di Paolo Piacenza, commissario del porto, successore di Signorini, tirato in ballo per avere firmato le carte dell’aumento tariffario ai soci della Santa Barbara, la compagnia, di cui è responsabile Matteo Vianello, presidente dell’Ente Bacini, a sua volta indagato e interdetto dall’esercizio professionale.

Lo stop a Piacenza potrebbe voler dire che anche il porto subisce un colpo nella pienezza della sua funzionalità, tanto che se lo sommi alla Regione e alle opere connesse, come il rigassificatore e alla piena funzionalità dei terminal di Spinelli, l’impressione è di una paralisi progressiva e devastante di tutto lo scalo in un momento chiave. Quando la crisi del Mar Rosso stava già diminuendo i traffici.

Al cataclisma la politica istituzionale reagisce un po’ goffamente. Mentre un tempo chiunque fosse stato sfiorato da una indagine, neppure addirittura privato della sua libertà, si dimetteva immediatamente per “salvare”le istituzioni, qua nessuno vuole mollare.

Toti dalla sua prigione casalinga annuncia che dimostrerà subito la sua estraneità alle accuse, quindi altro che dimettersi. E’ solo sospeso. Il suo nuovo amico, il potente e rimontante Claudio Scajola, sindaco di Imperia e da poco superconsigliori di Antonio Tajani in Forza Italia, tuona dall’estrema Riviera che guai a dimettersi mettendo in crisi le istituzioni, bisogna restare al proprio posto. E forse dimentica che con stile e rispetto per ben due volte lui si dimise da ministro, davanti solo all’ombra dei sospetti per la famosa frase su Marco Biagi, vittima delle Br e qualche anno dopo, quando emerse la storia della “casa a sua insaputa”. Altri tempi, altri leader all’ombra, allora, di Berlusconi.

I tempi cambiano e ora la “carega” non la molla più nessuno, perché questa è diventata l’essenza del proprio voluttuario potere.

Chi lo perde arretra e qualche volta scompare del tutto. E così nel timore che il blocco del presidente-governatore scateni una reazione a catena di paralisi totale di tutte le opere a lui connesse e freni Genova nella sua ipotetica ripresa, lanciata dai miliardi Pnrr e dalla spinta del sindaco Bucci, sulla cui scia Toti viaggiava sempre come un pesce pilota, guai a muoversi.

Ma la battaglia della sopravvivenza di Toti non è solo nel peso delle accuse che sono destinate a crescere nel fiume di indiscrezioni e intercettazioni che escono, ma è anche nella sua strategia di fronte ai giudici, al Gip che lo interroga e al Tribunale del Riesame, al quale potrebbe rivolgersi dopo, per ottenere la libertà personale.

Se il presidente non vuole mettersi di lato, la sua maggioranza ha un atteggiamento tutto da decrittare: dalla posizione incerta di Giorgia Meloni, che forse vorrebbe un passo indietro, ai suoi colleghi parlamentari liguri, che difendono la sua giunta, ma senza nominarlo, con Fratelli d’Italia che non esclude le elezioni anticipate, magari dopo le Europee, quando il quadro sarà un po’ più chiaro sui pesi dei diversi partiti……

Se la Lega perde troppi colpi, il possibile candidato presidente al posto di Toti non potrebbe più essere il più indicato di tutti, Edoardo Rixi, vice ministro di Salvini.

Ma intanto la Liguria, che era sbandierata come la Regione del “metodo Toti” e ancor di più del “metodo Genova” dopo la folgorante ricostruzione del ponte Morandi, è circondata da un gelo impressionante.

Alla cerimonia di apertura del Salone del Libro, che si inaugurava proprio con protagonista la Liguria, dove Genova è per il 2024 la “città del libro”, non era presente nessun rappresentante della regione. Il vice presidente facente funzione Alessandro Piana non si è presentato. Lo sostituiva la portavoce di Toti, che è anche coordinatrice delle politiche culturali, Jessica Nicolini, una giornalista spaestata e in palese imbarazzo. La platea non ha speso neppure un applauso all’annuncio della promogenitura di Genova. Sic transit gloria mundi.

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Franco Manzitti