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Giornali di carta verso l’estinzione, leggende di un vecchio cronista da un mondo che non c’è più

 I giornali di carta sono in una grave crisi tanto da paventarne una lunga e prolungata agonia? L’interrogativo coinvolge non solo gli addetti ai lavori (per evidenti ragioni) ma anche l’opinione pubblica.

Se è vero, come è vero, che le edicole chiudono, le redazioni si assottigliano e i ruoli nei giornali sono assai diversi da quelli della mia generazione.

Faccio un esempio per essere più chiaro. Una volta la figura dell’inviato faceva sì che chi ricopriva quel ruolo nei giornali poteva non andare in redazione tutti i giorni. Il più delle volte perché era in viaggio, in altre circostanze perché era sempre a disposizione per un improvviso  servizio lontano dalla città del suo quotidiano. Insomma doveva essere  informato un po’ su tutto, cosicchè quando ci si chiedeva la nostra specializzazione, rispondevamo: “Siamo come il medico condotto di un tempo, capace di tutto, dalla clinica alla odontoiatria,  dalla cardiologia alla microchirugia”. Il nostro credo – continuavamo a rispondere – è il generico. Di tutto un po’.”

Sono tanto vere le mie parole che val la pena di raccontare un espisodio che avvenne tantissimi anni fa quando, da praticante, lavoravo in cronaca di Roma al “Messaggero”. Mi chiamò il direttore, Sandro Perrone (mezzo infarto per il sottoscritto) che mi disse. “Lei da domani seguirà la medicina per noi”. Invano gli risposi che era una materia che ingnoravo completamente. “Bene, è proprio questo quel che volevo. Dovrà comprendere i discorsi nei convegni o in qualsiasi altro caso spiegandolo poi  maniera chiara e scorrevole ai nostri lettori”.

Altri tempi, altre soddisfazioni. Leggo le vendite dei giornali di oggi e rabbrividisco. Difficilmente si superano le 150 mila copie giornaliere e mi viene in mente quel che ci sottolineò il direttore del Corriere della Sera, giornale in cui avevo approdato con enorme soddisfazione. Ebbene, era scoppiato il terremoto (1980) in Irpinia e Basilicata.

Partimmo in tanti e il giorno dopo, in una riunione che si teneva alle 8, 30 del mattino (ora francamente insolita per un giornalista) Franco Di Bella, al vertice del giornale, ci comunicò con grande soddisfazione che il giorno precedente avevamo venduto un milione di copie del giornale. Un numero da rabbrividire.

Allora, se ne deve dedurre che hanno ragione quel che ritengono che il cartaceo sta lentamente morendo? Ne fa fede lo sciopero dei giornalisti di Repubblica, i quali in un comunicato scrivono che la proprietà del giornale ha messo in vendita le testate minori che appartengono al gruppo. Ne cito alcuni: Il Mattino di Padova, la Nuova Venezia, la Tribuna di Treviso, Il Piccolo di Trieste e “last but not least” l’Espresso che è già passato di mano. “Se questa è la situazione non ci dovremmo scandalizzare – fa presente il sindacato di Repubblica – se in futuro potrebbero rientrare in questo scenario anche le testate più prestigiose della Gedi. Tanto per essere chiari, oltre a La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e l’Huffingtonpost”.

Non c’è dubbio che i colleghi che danno queste informazioni hanno ragione da vendere, ma al  di là della disputa sindacale, ritorna alla ribalta l’interrogativo di fondo: è vero che il cartaceo nel giro di pochi anni è destinato a morire? Ad avvalorare questa tesi è il più prestigioso quotidiano americano, Il Times, che da tempo dà più importanza all’on line. E’ vero che i giovani di oggi (e non solo loro) quando gli chiedi se vanno in edicola a comprare il loro giornale preferito rispondono meravigliati: “Perchè dovrei uscire quando ho la comodità di leggere in casa il mio preferito?”

Dunque è vero che la carta è in agonia. A chi come me ha lavorato per oltre 50 anni in una redazione, piange il cuore. Debbo dire che il giornale è sempre il giornale. Diceva Alberto Moravia: “Lo devi comprare al mattino, così come quando ti alzi, prendi il cappuccino”. A difesa di chi non ama più l’antico, voglio spezzare una lancia a favore di chi segue l’esempio di Moravia. Non c’è dubbio che l’on line sia assai più comodo, ma quando stringi nelle mani il tuo quotidiano, hai un sussulto di gioia in primis quando l’editoriale dei più autorevoli commentatori la pensamo come te.

E la tv, altra concorrente? Le immagini di un telegiornale passano in fretta, un articolo di fondo lo archivi e lo puoi rileggere quando vuoi. Insomma, certe volte un ritorno al passato vuol dire un passo avanti.

 

 

 

 

Bruno Tucci

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