(foto Ansa)
È uscita di casa intorno alle quattro del mattino di domenica. Poco prima dell’alba. Poi, con la sua Panda, è arrivata nei pressi del Lambro. Qui, secondo le ultime ricostruzioni, prima con una lametta si è colpita e ferita più volte poi si è gettata nel fiume. Un suicidio disperato.
Così si sarebbe tolta la vita Giovanna Pedretti, 59 anni, la ristoratrice prima diventata famosa per aver risposto orgogliosa a una recensione di critica al suo locale per aver ospitato disabili e gay e poi diventata ancora più famosa, suo malgrado, perché in tanti di quella risposta e di quella recensione – sui social, sui giornali e in tv – hanno iniziato a dubitare. Voleva solo farsi pubblicità? Attirare l’attenzione? Una parabola drammatica, quella di Giovanna. Una parabola drammatica vissuta, secondo dopo secondo, commento dopo commento, in diretta sui social. Ora la Procura ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Un fascicolo, al momento, senza indagati.
Vera o falsa la recensione, vera o falsa la risposta, ormai di tutta la vicenda non resta che un dramma per un’intera famiglia. E qualche domanda su come gestiamo i social e sull’ansia di popolarità che ormai ci accompagna. Domande che forse tutti noi come comunità, sempre se vogliamo considerarci una comunità e non è così scontato, dovremmo porci.
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